Tutto inizia con la sent. 269/2017 della Corte costituzionale: o forse quello è stato solo il casus belli che ha portato in superficie le forti tensioni sull’applicazione della Carta dei diritti dell’UE sorte tra la Corte e la Cassazione, e la strategia di quest’ultima di cercare l’alleanza con la Corte di giustizia per avere il sopravento. La sent. 269/2017 è stata oggetto di infinite discussioni che qui non posso ripercorrere. C’è un notissimo passo della sentenza che a molti è parso un obiter dictum relativo alla «doppia pregiudiziale». A me non pare affatto che si tratti di una «opinione gratuita», ma piuttosto di un passaggio chiave che serve a illustrare il motivo (sviluppato nel punto 5 del “in diritto”) per il quale le questioni sollevate sono considerate in un caso ammissibili e nell’altro no, pur essendo due questioni (quasi) identiche, sollevate dallo stesso giudice in due giudizi diversi, ma davanti alle stesse parti, aventi ad oggetto la stessa norma di legge. Ed aventi entrambe un punto oscuro, che riguarda proprio la «doppia pregiudizialità». La «precisazione» che la Corte ritiene opportuno inserire nella sentenza affronta proprio questo nodo: essa si inserisce nella tradizione della giurisprudenza Granital, e chiarisce quali siano gli oneri di verifica e di motivazione posti a carico del giudice remittente quando si trovi di fronte a questioni di legittimità costituzionale che involgano anche il diritto dell’Unione europea. In linea con la sua giurisprudenza “storica”, la Corte continua a non accettare di occuparsi di questioni in cui il remittente non abbia previamente valutato, con esito negativo, l’ipotesi che la norma da applicare sia dotata di «effetti diretti». Dopo Granital la giurisprudenza costituzionale ha subito però un importante overulling quando la Corte costituzionale ha accettato di considerarsi, anche nei giudizi incidentali, «giurisdizione nazionale» e quindi sede idonea a proporre un rinvio pregiudiziale (ord. 207/2013, che ha overruled la giurisprudenza risalente all’ord. 536/1995). Da quel momento è sorto il problema della sovrapposizione di due linee giurisprudenziali potenzialmente conflittuali: se non spetta più soltanto al giudice comune il compito di risolvere l’eventuale conflitto tra norma interna e norma europea, e potendo perciò anche la Corte promuovere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, come si coordinano questi due percorsi? Il problema – che viene riecheggiato nelle ordinanze di remissione - era emerso anche nella giurisprudenza più recente della Corte costituzionale, però in giudizi in via diretta. Lo stesso principio viene ora applicato ai casi di «doppia pregiudizialità» nei giudizi incidentali: «quando una disposizione di diritto interno diverge da norme dell’Unione europea prive di effetti diretti, occorre sollevare una questione di legittimità costituzionale, riservata alla esclusiva competenza di questa Corte, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto europeo». È una strada nuova, aperta proprio dall’accettazione dell’ipotesi che sia la Corte costituzionale a sollevare la questione prioritaria, sia per motivi di interpretazione sia, eventualmente, per denunciare l’incompatibilità della norma europea con le fonti di grado superiore. La sent. 269/2017 non prescrive al giudice una precedenza assoluta della questione di costituzionalità quando intravveda la «doppia pregiudizialità». Il passaggio “incriminato” è quello in cui la Corte suggerisce al giudice comune, che dubiti dell’illegittimità di una legge per contrasto sia con la Costituzione che con la Carta dei diritti «in ambito di rilevanza comunitaria», di sollevare la questione di legittimità costituzionale, «fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE»; e poi aggiunge che «la Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali». È appena il caso di ricordare che la giurisdizione costituzionale “accentrata” costituisce, nell’Europa continentale, un aspetto della “identità costituzionale” di molti stati: perciò rappresenta un elemento che concorre ad alimentare le «tradizioni costituzionali comuni», di cui la Corte di giustizia dovrebbe tener conto… (segue)
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