Sul “pianeta” complicato della giustizia italiana stanno per atterrare nel giro dei prossimi due anni 16.500 laureati, al fine di contribuire a risolvere l’endemico problema della lentezza, tema posto dalla Commissione europea come condizione per l’assegnazione dei fondi Next Generation Eu all’Italia, alla luce della osservazione che una giustizia lenta è una giustizia denegata e ha un’influenza negativa sullo sviluppo economico e sulle capacità democratiche di un Paese. 16.500 è un numero enorme. Al di là della difficoltà nella selezione e nella formazione di questo esercito di persone, sorgono immediatamente alcune domande. Tutti giuristi? Tutti a fare gli assistenti dei circa novemila magistrati italiani (quindi quasi due a testa)? Tutti in funzione di line o anche gruppi (e quanto numerosi) in funzione di staff trasversale? Ad esempio, un gruppo di staff ben potrebbe essere destinato all’approfondimento delle conseguenze economiche e sociali dei giudizi, secondo il modello sperimentato ed attuato presso la Corte costituzionale (pur con tutta la prudenza necessaria quando si devono far entrare valutazioni socioeconomiche in un giudizio tecnico-giuridico). E, ancora, tutti a svolgere ricerche e a scrivere provvedimenti all’interno dei singoli processi? Il modello prevalente che sembra si voglia adottare è simile a quello degli assistenti in Corte costituzionale, ma va tenuto presente che tradizionalmente queste figure arrivano a Palazzo della Consulta essendo già magistrati o docenti universitari, quindi avendo alle spalle esperienze lavorative e di ricerca significative. La generalizzazione del modello degli assistenti per tutti i magistrati ordinari è certo una soluzione comoda, che darebbe un primo, temporaneo, sollievo alla nostra macchina giudiziaria, ma non risolverebbe i problemi organizzativi di fondo della giustizia italiana (che richiedono un’analisi più approfondita di quella limitata al problema che qui si vuole porre)... (segue)
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