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La Corte afferma che, innanzitutto, il divieto di indossare segni di natura politica, religiosa o filosofica non costituisce di per sé una violazione del divieto di discriminazione diretta fondata sulla religione o le opinioni personali ai sensi della direttiva 2000/78/CE, sempre che tale divieto sia applicato in maniera generale e indiscriminata. In secondo luogo, la discriminazione indiretta derivante da tale divieto può essere giustificata dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei confronti dei clienti o degli utenti. Tuttavia, il datore di lavoro dovrà dimostrare che tale politica risponde ad un’esigenza reale in considerazione delle aspettative legittime di utenti o clienti e degli effetti negativi che deriverebbero all’impresa dalla mancata applicazione di tale politica. A ciò si aggiunge che tale differenza di trattamento deve essere idonea a perseguire la suddetta politica e limitata allo stretto necessario per raggiungere lo scopo indicato. Tuttavia, un divieto concernente solo i segni religiosi, politici o filosofici vistosi o di grandi dimensioni non è giustificabile nell’ottica di garantire la suddetta politica e costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o le convinzioni personali
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Osservatorio trasparenza
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