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NUMERO 26 - 17/11/2021

 Il segno culturale di Beniamino Caravita

Il segno culturale di Beniamino Caravita.

E la sua eredità

(Mario Morcellini)

 

Ho conosciuto il Prof. Caravita nell’ultimo anno di Presidenza della Facoltà di Scienze della Comunicazione, ad un evento nella bella Aula Magna di Sapienza per l’orientamento alle matricole.

Come è ovvio sapevo già qualcosa del suo profilo, ma la postura che lui mise in campo per spiegare a un gran numero di studenti l’identità e la missione dei Corsi di Scienze Politiche hanno rappresentato per me una scossa salutare.

In quelle occasioni i professori danno il meglio se si sforzano di parlare “dalla parte degli studenti”, e ognuno di noi ovviamente conduceva esperimenti di comunicazione della didattica e dell’orientamento per arrivare alle performance migliori. Ebbene, il modo in cui questo illustre collega riusciva a popolarizzare i curricula e gli obiettivi formativi non faceva sconti ad effetti speciali, eppure la profonda adesione che egli mise in campo ai percorsi di studio che illustrava sono stati un modello di empowerment degli studenti. Detto in parole meno succubi della moda, davano forza a chi cominciava, abbassavano l’ansia dell’incertezza e trasmettevano una energia che poi ho tante volte ritrovato nel suo modo di porsi da leader e progettista di ricerche mai banali e tautologiche.

Il rapporto nacque spontaneo alla coda dei nostri impegni in sequenza. Ebbe un primo atto di gentilezza fermandosi anche alla presentazione dei curricula di Comunicazione di cui ero responsabile. Con il tempo ho potuto poi verificare quanto era affascinato dagli studi sui media e successivamente sul digitale, intesi come terreni accademici naturalmente interdisciplinari. Un rapporto intellettuale ed affettivo che è stato un valore aggiunto per la mia vita e lo è ancora oggi.

Non trascuro che per lui quelle materie fossero anche rilevanti professionalmente in quanto celebre avvocato e titolare di uno Studio di altissima reputazione. Quando i nostri rapporti si sono consolidati, e ho assunto il ruolo di Commissario all’Autorità della Comunicazioni, ho potuto osservare la forza di persuasione e l’efficacia del suo impegno nei difficili percorsi dei grandi player tecnologici del nostro Paese. Anche in quel caso ottenendo successi.

Resta però un aspetto da ribadire con nettezza. Era soprattutto un Professore, e nessuno che lo avvicinava poteva aver dubbi su questa scelta etica di fondo. Applico a lui, come facciamo per i docenti migliori, la mitica frase con cui Erri De Luca descrisse in un suo racconto fortunato la potenza di parole del suo Professore di riferimento in un Liceo di Napoli: “gli piaceva insegnare: questo verbo per lui si realizzava nell’accendere nei ragazzi la voglia di conoscere che sta in ognuno di loro e che aspetta a volte solo un invito sapiente”.

Il rapporto instaurato, come naturalmente deve essere tra Professori universitari che amano la propria missione e il brand del proprio Ateneo, non si è mai più interrotto ed è progressivamente cresciuto fino a diventare reciprocamente interlocutori preliminari di tanti temi della Rivista Federalismi (soprattutto quelli all’incrocio fra comunicazione e politica).

Essa è diventata nel tempo un sicuro punto di riferimento ben al di là delle materie annunciate dal titolo.

Ma è stata la progettazione di grandi ricerche che ha messo in piedi una concorrenza (nel senso positivo) di temi e sensibilità di cui, devo ammettere, è stato il primo protagonista capace di vedere più lontano di tutti noi, allargando la nostra abituale linguistica sostanzialmente bloccata sulle Scienze umanistiche e sociali, fino alla Fisica e all’Informatica.

E’ vero che in Agcom mi ero già reso conto degli ovvi limiti di approcci solo diplomaticamente interdisciplinari, ma il modo in cui lui rinunciava alla presunta fortezza dei settori scientifici è stato un esempio fortemente anticipatore di quello che negli ultimi anni, e tanto più dopo il Covid, è diventato un nuovo standard: la presa d’atto che la scienza o è interdisciplinare oppure rischia l’autoreferenzialità.

Sono nati così progetti d’Ateneo tesi a indagare l’impatto politico non solo dei media digitali, per i quali un minimo di letteratura già esisteva, ma cercando di inseguire i continenti non facilmente decifrabili delle interazioni social.

Quasi tutti i passi avanti di quella ricerca hanno coinciso con una pronta capacità di restituzione pubblica dei risultati, rendendo familiare a tutti noi l’Aula Tesi di Scienze Politiche in cui mi piace ancora immaginarlo.

Sono stati proprio quei risultati a dare il via a un nuovo impegno di ricerca “di rilevante interesse nazionale”, mettendo a frutto la straordinaria apertura tra le componenti giuridiche, sociologico-politiche, e comunicative in un incontro sempre avanzato con un nucleo di fisici e informatici che hanno praticato con evidente naturalezza la scoperta che i problemi del nostro tempo sono comuni, e solo gli approcci metodologici opportunamente assemblati consentono di aumentare scoperte scientifiche e di produrre innovazione culturale.

Anche il lavoro prima su Roma Capitale e quello successivo e in corso sulla nostra città sono stati caratterizzati dalla stessa apertura ai saperi più diversi.

Questo ricordo è tratteggiato ovviamente a livello personale, ma solo così riesco facilmente a tracciare il segno che lui ha lasciato in tutti quelli che lo frequentavano nello spazio della discussione pubblica.

So bene che molti dei nostri gruppi di ricerca potrebbero allineare storie simili, in cui riassumo due intense scoperte sull’uomo.  

La sua “scuola”, i giovani o comunque allievi che metteva in campo sapevano farsi comunità per l’eccellenza dei singoli e l’orgoglio del maestro.

Ma c’è un secondo aspetto che nessuno di noi potrà dimenticare ed è la forza di personalità e la tenacia nella progettazione continua di nuove iniziative, quasi una medicina anche nei momenti di difficoltà che dentro di me penso lo abbia aiutato a sormontare criticità e prove, fino agli ultimi giorni.

E’ una lezione straordinaria di fiducia nella conoscenza.

Sarà per noi un lascito che dovrà segnare il lavoro che troveremo la forza di continuare, anche per lui.



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