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Ringrazio in modo non formale la collega Federica Fabrizzi per l’opportunità che mi offre di prendere parte a un seminario che vuole essere un’occasione di riflessione comune su una sentenza di grande rilievo teorico e sistematico, ma anche un primo omaggio al nostro collega Beniamino Caravita di Toritto, di cui piangiamo la scomparsa prematura. Mi preme chiarire preliminarmente che mi atterrò in modo rigoroso al mio ruolo di studioso del diritto costituzionale e quindi esprimerò opinioni del tutto personali, che in alcun modo impegnano le scelte e l’indirizzo del Ministro degli Affari regionali che attualmente mi onoro di servire quale coordinatore dell’ufficio legislativo. Dedico solo qualche fugace cenno ai profili processuali, che pure molto mi appassionano, limitandomi a dire che la sentenza n. 240 riprende e rafforza la linea interpretativa – in verità molto controversa – inaugurata dalla sentenza n. 1 del 2014, scindendo il requisito della rilevanza dalla pregiudizialità concreta nelle questioni di diritto elettorale e legittimando pienamente, in questo ambito, il ricorso a un’azione di accertamento simile nella sostanza dei suoi effetti processuali a una Verfassungsbeschwerde. Venendo al merito della questione decisa, la sentenza in esame afferma principi di grande rilievo teorico in tema di governance dell’area vasta e mentre, da un lato, consegna al passato le statuizioni – bersagliate in sede dottrinale – della sentenza n. 50 del 2015, dall’altro lascia irrisolte questioni di carattere applicativo con cui dovrà cimentarsi il legislatore. La pronuncia proietta in effetti una densa ombra sulla revisione in itinere del Testo unico degli enti locali e, soprattutto, impone con urgenza all’agenda politica il tema della revisione della legge n. 56 del 2014. Una revisione che può anche non essere integrale, ma non credo possa limitarsi al mero maquillage. Di quella legge, e della giurisprudenza costituzionale che ne ha in qualche misura avallato le scelte, sono infatti venuti meno i presupposti normativi e fattuali. Se ne trae sicura conferma analizzando il passaggio della pronuncia in cui la Corte costituzionale prende le distanze dall’immediato precedente in termini – la criticatissima sentenza n. 50 del 2015 – senza apertamente contraddire il percorso argomentativo in essa dispiegato, ma insistendo piuttosto sul venire meno delle fragili premesse su cui quella decisione poggiava… (segue)
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