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NUMERO 29 - 29/12/2021

 Prime osservazioni sulla sentenza n. 240 del 2021: gli enti di area vasta nell’ordinamento costituzionale tra passato, presente e futuro

1. Dopo oltre un lustro la Corte costituzionale torna a occuparsi della legge n. 56 del 2014 (meglio nota come “legge Delrio”) e lo fa con una pronuncia – la sentenza n. 240 del 2021 – che, pure all’esito di una decisione di inammissibilità delle questioni sollevate dal giudice rimettente, offre un complessivo re-inquadramento del tema degli enti di area vasta nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, con affermazioni che rileggono in una chiave fino a oggi inedita alcune delle scelte di fondo che il legislatore nazionale aveva fatto proprie in quella legge e che, senza dubbio, riaccendono l’attenzione su una vicenda istituzionale che sembrava ormai definitivamente consolidata (almeno sul piano della giurisprudenza costituzionale formatasi tra il 2015 e il 2016). A dispetto del dispositivo di inammissibilità, si tratta di una sentenza ricchissima, copiosamente e consapevolmente “sovra-argomentata” – quasi a svelare l’intento precipuo del Giudice delle leggi di “aggiornare” la propria giurisprudenza sul tema – ancorché in una cornice e con toni di grandissimo equilibrio e – verrebbe da dire – di apprezzabilissimo “garbo” istituzionale. La parte senz’altro più cospicua della motivazione è quella dedicata ai profili processuali, sui quali la Corte fornisce una ricostruzione che si avvicina molto a una sorta di “trattato a futura memoria”, tanto in relazione all’ammissibilità delle questioni in quanto promananti da azione di mero accertamento in materia di diritti elettorali, quanto in relazione, invece, alla dichiarata inammissibilità delle medesime in ragione della mancanza di “rime obbligate” per l’intervento manipolativo richiesto dal giudice rimettente, come tale da considerarsi precluso al Giudice costituzionale e rimesso alla discrezionalità legislativa. Proprio su quest’ultimo profilo la motivazione della pronuncia si salda con il merito delle questioni affrontate, agganciandosi all’articolatissimo monito – decisamente poco usuale per la sua ampia diffusione argomentativa – che la Corte consegna prima di tutto al legislatore ma anche a tutti gli operatori istituzionali e alle riflessioni della “comunità dei chierici”. È qui che la sentenza assume i tratti peculiari di una sorta di “dimensione diacronica”, nella quale il Giudice delle leggi si perita di offrire spunti di grandissimo rilievo, al contempo, sul passato, sul presente e sul futuro della disciplina legislativa degli enti di area vasta, finalmente alla luce – ça va sans dire, ma il dato è tutt’altro che irrilevante, come la storia di questa vicenda purtroppo ci ha insegnato soprattutto con le sentenze nn. 50/2015 e 143/2016 – del diritto costituzionale vigente… (segue)



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