
La storia del ruolo e delle funzioni prefettizie, com’è noto, è stata oggetto di numerose indagini, a partire dalle prime, pioneristiche, degli anni ’60 ed è pertanto abbastanza nota nelle sue linee generali. Esse si sono incentrate sull’evoluzione che la figura del prefetto e le sue attribuzioni ebbero dalle origini pre-unitarie fino all’esordio della Repubblica (tanto per citare qualche studio, ricordo il celeberrimo volume di Robert Fried, o quelli, più recenti, di Alberto Cifelli), ma anche sulle ricostruzioni biografiche di vari titolari dell’ufficio: possiamo citare, sempre come esempio di rilievo anche locale, il volume di Maria Salvo Nives sui prefetti della provincia di Torino dal 1861 al 1943, ma anche quello a cura di Marco de Nicolò sulla prefettura di Roma dal 1871 al 1946, cui vanno aggiunti tutta una serie di studi sul ruolo di singole figure, come ad esempio il recentissimo saggio di Stefano Fabei su Armando Rocchi, controverso prefetto di Perugia all’epoca della Repubblica Sociale. Rimarrebbe forse ancora da indagare più approfonditamente la prassi quotidiana dell’attività prefettizia, attraverso lo spoglio attento dei fondi archivistici disponibili. Iniziatore di quest’approccio fu lo studioso olandese Nico Randeraad, che, analizzando a titolo di sondaggio tre prefetture nell’età liberale (1861-1895), una del nord Italia (Venezia), una del centro (Bologna) e una del sud (Reggio Calabria) ebbe ad evidenziare, come sottolineò Guido Melis nella prefazione alla traduzione italiana del volume, che “i modi attraverso i quali si esercita la funzione prefettizia sono, sin dall’inizio e nonostante le conclamate velleità uniformatrici, profondamente differenziati a seconda delle diverse situazioni ambientali e delle tradizioni storico-amministrative con le quali i funzionari vengono in contatto. Emergono, innanzitutto, scarti anche vistosi rispetto all’applicazione delle stesse norme (e ancor più rispetto all’adeguamento dei contesti locali alle imperiose direttive ministeriali), ampi spazi nei quali si manifesta la discrezionalità del prefetto, interpretazioni personali del ruolo, costante capacità dell’amministrazione periferica di mediare autonomamente istanze locali e direttive centrali”… (segue)
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