Non è un mistero che chi scrive, sino ad oggi, abbia sempre osservato con una certa diffidenza le proposte di revisione costituzionale che sono state poste sul tavolo da più di cinquant’anni orsono, tutte le proposte di revisione, non una piuttosto che un’altra. Mi rendo conto che il mio può apparire (e forse è) un atteggiamento un po’ retrogrado, ma ero e rimango convinta che le scelte della Costituente furono quelle giuste, scelte che ci hanno garantito, pur con tante difficoltà, 75 anni di democrazia e quindi di alternanza, di stabilità nella discontinuità. I fatti, poi, dimostrano che l’unica volta che è stata approvata un’imponente revisione costituzionale (mi riferisco ovviamente alla riforma del Titolo V), i risultati da essa prodotti sono stati particolarmente infelici. Certo, non nego che l’esigenza di garantire stabilità all’azione del governo esista da sempre: persino l’approvazione dell’o.d.g. Perassi ci fa comprendere che era un problema sentito finanche alla Costituente cioè a dire che nello stesso momento in cui si approvava la Costituzione repubblicana adottando la forma di governo parlamentare si avvertiva la consapevolezza che, forse, sarebbe stato necessario, un giorno, introdurre dei correttivi. Ma quale lo scopo di tali correttivi? Io credo che la vera domanda da porsi sia questa: non tanto come modificare la Costituzione, quanto perché modificarla… (segue)