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FOCUS - Riforme istituzionali e forma di governo

 Il metadone della Repubblica. Elezione diretta e verticalizzazione del potere: la grande ossessione semplificatrice

Un equivoco di fondo sembra caratterizzare l’ennesima, ossessiva, riproposizione dell’ormai ultraquarantennale dibattito pubblico sulle c.d. “riforme”. Il punto di partenza è sempre, più o meno, lo stesso. Occorre «rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni», minacciata dalla disaffezione alla politica e dal crescente astensionismo elettorale. Occorre, ad un tempo, garantire «rappresentatività» delle maggioranze politiche, «stabilità» dei governi e, naturalmente, «efficacia» delle decisioni pubbliche. Il punto di caduta, tuttavia, appare a sua volta ineluttabile: occorre mettere mano alla Costituzione per introdurre l’«elezione diretta». Di chi? Di qualcuno, chiunque sia: il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio (magari da ribattezzare “primo ministro”, come se fossero i nomi attribuiti alle cariche, in politica, a garantire la «primazia»). Purché si tratti dell’elezione diretta di una persona fisica, con il suo bel nome stampato sulla scheda elettorale e la sua faccia riprodotta sui manifesti con cui tappezzare il Paese durante campagne elettorali dai contenuti sempre più semplificati, dai messaggi ridotti a slogan. Una persona fisica che possa incarnare il presunto «bisogno di leadership», e di verticalizzazione del potere, che – si sostiene – emergerebbe prepotentemente dal corpo stesso della società italiana (della “nazione”, come oggi usa dire)... (segue)



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