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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Corte di Cassazione, Sentenza n. 11887/2025, Responsabilità per il decesso del paziente e assicurazione della struttura. Sulle clausole on claims made basis

Pres. G. Travaglino, Est. P. Spaziani – Azienda ospedaliera universitaria (omissis) (Avv. Antonio Tundo) c. De.Ve. e altri (Avv. Giulio Marchetti) e Generali Italia Spa (Avv. Franco Tassoni)

Responsabilità sanitaria – Responsabilità della struttura sanitaria – Contratto di assicurazione – Clausole on claims made basis – Validità – Causa in concreto – Analisi dell’assetto sinallagmatico – Eccezione di giudicato esterno – Cassa con rinvio.

Responsabilità sanitaria – Diritto al risarcimento – Prescrizione – Danno derivante da reato – Termine più lungo.

Responsabilità sanitaria – Danno non patrimoniale – Perdita del rapporto parentale – Onere della prova – Presunzione.

In seguito a un intervento alla vescica, una donna sviluppava una peritonite. In assenza di un tempestivo rimedio da parte dei sanitari, la paziente moriva. Agivano in giudizio i familiari nei confronti della struttura sanitaria, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti, iure proprio e iure hereditatis. Nel processo intervenivano in via litisconsortile le quattro sorelle della defunta formulando a loro volta domanda risarcitoria. Il parallelo processo penale per omicidio colposo si concludeva con declaratoria di non doversi procedere per prescrizione.

Istruita la causa con acquisizione della perizia medico-legale effettuata dal collegio peritale nominato dal GIP nel procedimento penale, il giudice di primo grado accoglieva la domanda risarcitoria, liquidando a favore del marito e dei quattro figli, iure hereditatis, il danno maturato in capo alla paziente per perdita della vita in circa 849.000 euro e, iure proprio, il danno da perdita del rapporto parentale, sulla base di importi diversi per ciascuno degli aventi diritto, tra 225.000 e 273.000 euro circa. Riconosceva anche il danno da perdita del rapporto parentale a favore delle sorelle della defunta, liquidando a ciascuna la somma di circa 122.000 euro. Inoltre accoglieva la domanda di manleva formulata nei confronti della società di assicurazione della struttura.

La Corte d’appello di Napoli, dinanzi alla quale era impugnata la sentenza di condanna, riformava la pronuncia nella parte in cui aveva liquidato iure hereditatis il danno da perdita della vita anziché il danno non patrimoniale terminale, da liquidarsi invece in 40.000 euro circa, e nella parte in cui aveva accolto la domanda di manleva. In ordine a tale secondo aspetto, la Corte d’appello riteneva che valesse il giudicato esterno in relazione all’accertamento della validità della clausola on claims made basis impura apposta al contratto di assicurazione, con conseguente inoperatività della polizza nelle fattispecie in cui, come questa, la richiesta di risarcimento fosse stata effettuata per la prima volta dopo la scadenza e dopo il decorso dell’eventuale periodo di ultrattività della polizza medesima, sebbene per un fatto accaduto durante il periodo di efficacia della stessa. Pertanto, condannava l’ente ospedaliero alla restituzione alla società di assicurazione della somma pagata in esecuzione della sentenza di primo grado, pari ad oltre 1.700.000 euro.

Avverso la sentenza della Corte territoriale è proposto ricorso per cassazione.

 

La S.C. reputa fondato il motivo con cui viene denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c. In particolare, la censura è mossa all’accoglimento dell’eccezione di giudicato sollevata dalla compagnia assicuratrice – in relazione alla validità della clausola on claims made basis inserita nella polizza e alla derivante inoperatività di detta polizza sul presupposto che tra le parti fosse passata in giudicato la sentenza n. 2993/2016 della Corte d’appello di Napoli – e alla conseguente riforma sul punto della sentenza del Tribunale. Nel caso in esame, infatti, non vi è identità tra le domande di garanzia proposte nei giudizi conclusi con le sentenze richiamate dalle parti e la domanda di garanzia formulata in questo giudizio: nonostante tale domanda fosse stata formulata tra le stesse parti e la questione giuridica affrontata fosse la stessa, le parti della domanda principale di risarcimento erano diverse, ciò determinando un diverso petitum e una diversa causa petendi nella stessa domanda accessoria, con cui era stato azionato il diritto di manleva. La diversità, parziale, tra le domande esclude che su quella formulata in questo giudizio si sia formato il giudicato per effetto della pronuncia definitiva resa su quella azionata nei giudizi precedenti. L’accoglimento di questo profilo di gravame in appello assorbì l’altro profilo attinente alla liceità, validità ed efficacia della clausola on claims made basis.

Dunque la Cassazione riafferma che il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole on claims made basis, come deroga convenzionale all’art. 1917, 1° comma, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e non è soggetto al controllo di meritevolezza ex art. 1322, 2° comma, c.c., ma alla verifica, ex art. 1322, 1° comma, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. «Tale indagine, devoluta al giudice del merito – aggiunge la S.C., richiamando la giurisprudenza di legittimità – riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l'osservanza, da parte dell'impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell'attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall'assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati». Per indagare sulla causa concreta, il giudice del merito deve svolgere l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto di assicurazione, valorizzando le circostanze rilevanti, come quella del premio di polizza. Per la ragione anzidetta, la Corte d’appello, alla quale sarebbe spettato di giudicare dell’assenza o presenza di squilibrio sinallagmatico dal punto di vista del giudizio di fatto, non ha effettuato questo controllo.

 

È ritenuto invece manifestamente infondato il motivo di ricorso con cui è denunciata la violazione dell’art. 2947 c.c., per aver la Corte territoriale rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento delle interventrici (che avevano posto in essere il primo atto interruttivo con raccomandata del 3 novembre 2008, dunque dopo la scadenza del termine di cinque anni dalla morte della loro sorella, avvenuta il 29 aprile 2003), facendo applicazione del più ampio termine di prescrizione previsto dall’art. 2947, 3° comma, c.c., secondo cui, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile, a meno che il reato sia estinto per causa diversa dalla prescrizione o sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale.

Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dell’art. 2947, 3° comma, c.c. avuto riguardo alla circostanza che la condotta omissiva tenuta dai medici nei giorni 20 e 21 aprile 2003, da cui era stata cagionata la morte della donna, aveva integrato, oltre che una fattispecie di illecito civile, anche quella del reato di omicidio colposo, rispetto al quale non era stata emessa sentenza irrevocabile né dichiarata l’estinzione per una causa diversa dalla prescrizione.

Neppure vale evidenziare che l’accertamento del nesso causale tra l’omissione medica e l’evento di danno fosse stato effettuato sulla base di un criterio meramente probabilistico, «poiché dalla corretta applicazione della regola di funzione del nesso causale propria del processo civile non può farsi discendere l'esclusione dei presupposti per l'applicazione del più ampio termine di prescrizione previsto per i casi di reato dall'art. 2947, terzo comma, prima parte cod. civ., il quale va disapplicato solo allorché si integrino i presupposti di cui alla seconda parte dello stesso comma, che giustificano il diverso regime ivi disciplinato».

Manifestamente infondato si considera anche il motivo di ricorso con cui viene censurata la statuizione di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale in favore delle sorelle. È così ribadito il principio secondo cui «la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare "successiva" (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia "originaria" (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo».

L’azienda convenuta, che avrebbe dovuto provare l’eventuale distanza affettiva tra le sorelle per vincere la presunzione sulla sofferenza dei superstiti per la perdita della vittima dell’illecito, non ha assolto il suo onere probatorio, limitandosi a denunciare una liquidazione di eguale importo a tutte le sorelle, senza fornire alcun elemento per indurre il giudice a una scelta diversa, stante la condivisione, fra tutte le interventrici, del medesimo grado di parentela e della mancanza di convivenza. Quindi il giudice di merito correttamente ha riconosciuto il «danno da perdita del rapporto parentale anche alle sorelle della defunta (in quanto componenti della famiglia "originaria") ma differenziandolo in minus rispetto agli altri congiunti, avuto riguardo anche alla situazione di non convivenza».

 

S.C.

(Stefano Corso)



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