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NUMERO 8 - 17/04/2008

 Una speranza per i prossimi mesi: istituzionalizzare la semplificazione del quadro politico

Un terremoto o uno tsunami, per i meno controllati. Per i più cauti, un radicale cambiamento dello scenario parlamentare e fors’anche istituzionale: questi i giudizi più diffusi all’indomani del voto. Se qualche cautela in più parrebbe d’obbligo, resta il fatto che per gli studiosi delle istituzioni e della politica vi è abbondante materiale su cui riflettere. A cominciare da un dato: il Parlamento radicalmente semplificato che esce dal voto del 13 e 14 aprile, almeno all’apparenza, non è il frutto di riforme delle regole, ma il risultato dei comportamenti e delle volontà politiche dei leaders dei principali partiti, con la decisione di presentarsi (quasi) da soli al voto. Non le riforme istituzionali o elettorali, non le tanto agognate nuove regole, ma le volontà politiche avrebbero dunque avuto un peso decisivo in questa direzione. Qualcuno (Giuliano da Empoli su Il Riformista) ne ha tratto spunto per criticare i cosiddetti “strutturalisti”, cioè coloro che riporrebbero integrale (e forse ingenua) fiducia nel potere salvifico delle regole e delle riforme. Ed ha osservato che Veltroni e Berlusconi ci avrebbero risparmiato una legislatura trasformata in un interminabile seminario di diritto costituzionale, alla ricerca dei modi e degli strumenti per limitare la frantumazione partitica, per rafforzare la governabilità e la stabilità dei governi ecc.  (segue)



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