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NUMERO 8 - 17/04/2008

 Perché la Terza Repubblica sarà diversa

La rivoluzione del 1994 è finalmente arrivata a compimento. In Italia, in un certo senso, è caduto definitivamente il Muro. Senza la fine del comunismo, senza le sue ripercussioni sul sistema politico italiano, assai probabilmente Berlusconi non sarebbe mai entrato in politica. Dovette farlo in una situazione di emergenza, mettendo insieme quello che insieme non immaginava nemmeno di poter stare: la Lega al nord e l’Msi al sud. Non a caso, i suoi stessi alleati di oggi.
Quella improvvisazione fantasiosa che allora ci salvò dalla gioiosa macchina da guerra e dall’innesto di processi disgregativi, non fu indolore. In termini politici si scontò l’assenza di una classe dirigente all’altezza della sfida. In termini istituzionali, l’inesistenza di un contesto che potesse sostenere l’uscita dal proporzionalismo e l’avvio di una compiuta rivoluzione maggioritaria. 
Questa situazione si è trascinata per anni. I limiti di quanti avrebbero voluto innovare il sistema e la strenua resistenza dei conservatori hanno prodotto come risultato una transizione che pareva dovesse prolungarsi senza fine. Ma, come spesso accade in queste situazioni, proprio dalla tetragona resistenza di quanti non vogliono prendere atto del cambiamento è provenuto il colpo di grazia all’ancien régime. Per quanto è accaduto il 13 e il 14 aprile dobbiamo in qualche modo ringraziare Prodi e il suo dossettismo. Se non ci fosse stato il tentativo di governare contro la realtà di un Paese spaccato in due, con ogni probabilità non si sarebbe posto il problema di dover scegliere: tornare indietro al periodo precedente al ‘94, quando a contare erano soprattutto i partiti, oppure andare avanti, superando i limiti di coalizioni rissose all’interno delle quali i partiti cercavano disperatamente di riguadagnare la forza che il ’94 aveva loro sottratto.



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