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NUMERO 16 - 06/08/2008

 Elezioni Usa 2008

 

Lo Speciale

Quella delle presidenziali 2008 è – si dice – una campagna veramente speciale. Lo è per il fatto di esser stata contesa su ambedue i fronti: per la prima volta dal 1928, infatti, né Repubblicani né Democratici schierano un Presidente o un Vicepresidente in carica. Lo è per l’enorme quantità di fondi messi in campo (quasi 800 milioni di dollari a fine giugno, un parziale che si avvicina già al record di 980 segnato nel 2004), e in particolare per l’inedita scelta del candidato Obama di rinunciare al sistema di finanziamento pubblico introdotto nel 1976, rimettendosi per intero alla propria capacità di reperire fondi privatamente. Ancora, lo è per il fatto che il nome di uno dei due contendenti è emerso solo alla vigilia dell’estate, mentre nella più parte delle gare recenti entrambi gli slot di partenza erano occupati sin dalla fine dell’inverno.

Soprattutto, si dice, lo è perché tanto John McCain quanto Barack Obama sono due outsider rispetto al mainstream dei propri partiti: l’uno, etichettato per anni come il maverick del GOP (specialmente dopo lo scontro con G. W. Bush alle primarie in South Carolina del 2000), al punto da esser stato preso in considerazione come running mate di John Kerry alle presidenziali 2004; l’altro, noto per la sua ambizione post-ideologica, al punto che, come compagno nel recente tour mediorental-europeo, si è scelto il senatore repubblicano Chuck Hagel (il cui nome circola insistentemente fra i possibili candidati vicepresidenti, assieme a quello di Evan Bayh, senatore per l’Indiana).

D’altra parte, non ci si deve lasciar sedurre troppo dalle sirene dell’eccezionalismo. In fondo, sono molti i profili sotto i quali, passata l’ubriacatura delle primarie, la campagna 2008 sembra già tornare ai binari collaudati delle passate consultazioni: fra l’altro, non vi sarà affatto da stupirsi se – con tutto il parlare che si è fatto della capacità obamiana di ridisegnare la geografia elettorale statunitense – le elezioni di novembre finiranno ancora una volta per essere determinate dal trittico Florida-Ohio-Missouri (più forse, in questo caso, Indiana). Ancor di più, non si può non osservare che pressoché ogni campagna presidenziale della storia statunitense ha potuto, per un verso o per l’altro, essere qualificata come “speciale”: per la quantità di fondi spesi (quasi ad ogni consultazione si è battuto il record stabilito da quella precedente), per l’andamento della competizione (stagioni di primarie “lunghe” si sono avute, sul fronte democratico, nel 1984 e nel 1988, e su quello repubblicano, nel 1976 e nel 1980), per le qualità dei contendenti. Nel che è probabilmente da ritrovarsi quella singolare capacità adattiva, ad un tempo evolutiva e rivoluzionaria, che ha consentito al sistema politico americano di rigenerarsi periodicamente pur mantenendo intatte le proprie forme, giungendo così senza segni di rughe o cedimenti ben oltre il bicentenario – fino, oggi, alla scelta del 43° successore di George Washington.

Con l’inaugurazione dello Speciale Elezioni Usa 2008, Federalismi.it si prepara a seguire l’evoluzione di questa affascinante competizione, muovendosi a metà fra riconoscimento della specialità e tentativo di riconduzione a normalità. Si riprende così e si porta a compimento la copertura attivata nel corso della campagna delle primarie svoltesi fra gennaio e giugno, i cui capitoli sono riportati qui sotto in ordine cronologico a mo’ di antefatto del percorso che si va oggi ad iniziare.

 

Antefatto: le primarie

La lunghissima campagna delle primarie Usa 2008 si è aperta il 3 gennaio, con la consultazione in Iowa, e si è conclusa esattamente cinque mesi dopo, il 3 giugno, con le battaglie in Montana, New Mexico e South Dakota.

Sul fronte repubblicano, la gara si era però di fatto conclusa il 7 febbraio, quando, a due giorni dalla sconfitta subita nel Super Tuesday, l’ex governatore del Massachusetts Mitt Romney abbandonava la corsa, lasciando il solo ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee a competere col front-runner John McCain. Il senatore ed eroe del Vietnam – la cui candidatura, in declino dall’autunno 2007, era stata riportata in auge dal successo in New Hampshire l’8 gennaio – si assicurava così la nomination il 4 marzo. Gli altri principali contendenti: l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, assente (si dice per scelta) dalle early primaries e uscito di scena dopo la sconfitta in Florida il 29 gennaio, e il senatore per il Tennessee e già attore televisivo Fred Thomson, ritiratosi il 22 gennaio.

Sul fronte democratico, la corsa era stata ben più combattuta. La candidatura Hillary Clinton, data per vincente sin dal 2006, si era progressivamente offuscata nel gennaio 2008, con i trionfi del contendente Barack Obama in Iowa il 3 e in South Carolina il 26. Dopo un sostanziale pareggio nel Super Tuesday del 5 febbraio, la candidatura del giovane senatore per l’Illinois si affermava definitivamente con l’impressionante serie di 10 vittorie consecutive nel resto del mese. La ripresa della senatrice Clinton con i successi in Texas e Ohio il 4 marzo e poi in Pennsylvania il 22 aprile nulla potevano contro l’andamento ormai impresso alla gara: il 6 maggio, col trionfo in North Carolina e il pareggio in un Indiana considerato a lui sostanzialmente sfavorevole, Obama metteva di fatto le mani sulla vittoria. La resa di Clinton il 5 giugno, giunta al termine dell’ultima competizione e seguita all’inizio di una valanga di endorsement del suo avversario da parte dei cd. superdelegati, metteva definitivamente fine ad una battaglia aspramente contesa e che aveva visto il partito radicalmente spaccato su una serie di profondi cleavages: etnico (afro-americani con Obama, ispanici con Clinton), generazionale (giovani con Obama, anziani con Clinton), socio-economico (ricchi ed istruiti con Obama, poveri e non istruiti con Clinton) e di genere (donne con Clinton, uomini con Obama).

 

 

 

 

 

 













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