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NUMERO 1 - 03/01/2018

70 anni di Costituzione italiana, 60 anni di Unione Europea: i nodi del 2018

Settant'anni fa, il 27 dicembre 1947, la Costituzione italiana veniva promulgata dal Capo dello Stato provvisorio Enrico De Nicola, dopo che l’Assemblea Costituente l’aveva approvata a larghissima maggioranza il 22 dicembre. Poco più di anno fa il popolo italiano respingeva, con una larga maggioranza, un'ampia proposta di modifica della Costituzione, approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento della XVII Legislatura.

  Il 1 gennaio del 1948 la Costituzione entrava in vigore; nei prossimi giorni il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella scioglierà le Camere per uno dei passaggi elettorali più delicati e più significativi della recente storia istituzionale del nostro Paese e la notte fra il 31 dicembre 2017 e il 1 gennaio 2018, nel messaggio di fine anno, spiegherà al popolo italiano le ragioni, le motivazioni, gli auspici sottesi a questo scioglimento. Raccogliendo una fortunata immagine di Hobsbawn, sotto il profilo politico-istituzionale il 2017 è stato un anno “lungo”. È iniziato nel novembre 2016, con l'elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti (ma in realtà, forse era iniziato già con il referendum inglese sulla Brexit il 23 giugno 2106) ed è continuato con il referendum italiano del 4 dicembre 2016; proseguirà almeno fino alla formazione del governo tedesco e alle elezioni italiane del 2018. In mezzo, tanti, tantissimi eventi, nazionali, europei, internazionali, che è difficile ricordare e commentare compiutamente. La vera chiave di lettura, quella più profonda e incisiva e nel contempo non retorica, per valutare le coincidenze italiane va trovata, non già nella data di approvazione della Costituzione, né nella data del voto del dicembre 201 (che sarebbe riduttivo considerare come una acritica conferma), bensì in un evento di poco successivo a quella prima data, di cui di recente abbiamo festeggiato la sessantesima ricorrenza: la firma del Trattato di Roma sull’istituzione delle Comunità europee. È rispetto a quell’evento - e alle successive evoluzioni europee - che dobbiamo saggiare sia le trasformazioni dell'assetto istituzionale italiano, come già fatto da un recente studio collettaneo, sia la capacità di adattamento, di tenuta, ma anche di anticipazione dei fenomeni, mostrata in questi anni dalla Costituzione italiana. Sul versante dei diritti, il bilancio può essere sintetizzato con una certa facilità. La Costituzione italiana, nata nel 1947 nel grande fermento politico e culturale successivo alle drammatiche distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, risposta istituzionale alla negazione della dignità umana di quegli anni,  ha anticipato alcune linee di riflessione e di intervento sul tema delle libertà, che hanno poi trovato conferma sia in altre Costituzioni moderne, che in atti regionali e internazionali. Con tutti questi atti, e con le giurisdizioni ad essi sottostanti, si è creato un rapporto di benefica circolarità, che è proseguito anche in tempi recentissimi, con un reciproco arricchimento e raffinamento nella tutela delle situazioni soggettive, anche se spesso ciò è avvenuto mettendo forse troppo l'accento sul “diritto di avere diritti” e non sul “dovere di avere doveri”. Questo schema vale non solo per i tradizionali diritti di libertà, ma anche - se non soprattutto - per i diritti sociali, così come inscritti nelle Costituzioni moderne dello stato sociale. Non è un caso se anche uno studio recente, coordinato da Thomas Piketty, ha confermato che i paesi europei sono comunque quelli dove la globalizzazione e la crisi non hanno aumentato le diseguaglianze nel modo drammatico con cui è avvenuto nel resto del mondo: e ciò è dipeso proprio dalle strutture istituzionali e costituzionali dei paesi europei. Diverso - come è ben noto - è il discorso rispetto alla questione istituzionale. Decenni di tentativi di riforme si sono da ultimo infranti contro il muro di un voto popolare difficilmente contestabile, quale quello del 4 dicembre 2016. Oggi, nella ricorrenza del settantesimo anno di vigenza della nostra Costituzione, mentre ci avviciniamo all'inizio della XVIII Legislatura, il tema da mettere a fuoco non è più quello di una astratta discussione su più o meno auspicabili riforme: quella discussione - per come l’abbiamo affrontata negli ultimi trent'anni, e poi ancora nel corso della passata Legislatura - è superata e proporla secondo gli stessi schemi e stereotipi sa di stantìo, provoca e induce stanchezza, ripetitività, dà un senso di inutilità. Naturalmente i problemi rimangono sul tappeto, ma la questione istituzionale va oggi affrontata all'interno delle possibili scelte europee e delle evoluzioni che il quadro politico, economico e sociale, nazionale e europeo, conoscerà nel corso del 2018. Se il processo costituente europeo continuerà, se le spinte disgregatrici non prevarranno, l’Italia avrà bisogno di istituzioni che permettano al nostro Paese di confrontarsi alla pari con gli altri (grandi e piccoli) Stati europei: ci serviranno strutture di governo che ci permettano di interloquire efficacemente nel processo decisionale europeo (ne è plastica dimostrazione la situazione attuale: anche un governo in carica per il disbrigo dell’ordinaria amministrazione è costretto a confrontarsi duramente in sede europea). Avremo bisogno di un governo autorevole per pesare all'interno del motore politico dell'Europa, vale a dire il Consiglio europeo; sarà necessario costruire una classe politica preparata e fortemente rappresentativa per dirigere e orientare il luogo della rappresentanza politica europea, il Parlamento europeo; ci occorreranno strutture istituzionali robuste per presentare il nostro punto di vista sia nella sede della rappresentanza territoriale, il Consiglio, sia nel confronto con la sede del motore esecutivo dell'Unione, la Commissione; sarà necessario presidiare la rete delle Autorità indipendenti nazionali che, nel rapporto con la Commissione, regolano molteplici profili della nostra vita associata; avremo bisogno di semplificazione, tanta semplificazione, dei nostri processi decisionali, unico strumento affinché una spesa pubblica che è pari alla metà del prodotto interno lordo possa essere efficace e produttiva. Decideremo allora se il bicameralismo può ancora funzionare, su come rafforzare l'esecutivo, su come razionalizzare i poteri locali; valuteremo gli strumenti migliori: ma nel quadro della vicenda europea e consapevoli della nostra collocazione. Se il processo europeo si dovesse interrompere, per scelte nostre o per le conseguenze di derive interne e esterne il cui controllo dovesse sfuggire di mano alle classi dirigenti (non solo alla politica, dunque, ma alla economia, alla cultura, alle professioni, alla dirigenza istituzionale, amministrativa, giudiziaria, settori tutti che condividono questa responsabilità e devono valutare consapevolmente le conseguenze delle scelte), le esigenze di riforma del nostro assetto istituzionale saranno inevitabilmente diverse. La Costituzione italiana ha tenuto fino ad oggi, sicuramente; adesso, allo scoccare del suo settantesimo anno, nei sessanta anni di Unione Europea, in vista delle elezioni della XVIII Legislatura ci avviamo, con questa Costituzione, ad affrontare scelte difficili e delicate, in grado di orientare il futuro italiano ed europeo per un lungo periodo a venire. Nei prossimi mesi federalismi.itseguirà con il distacco che si richiede ad una rivista scientifica una discussione politica ed elettorale che si preannuncia molto aspra, auspicando - come già successe in occasione del referendum del 2016 - che il dibattito si svolga su coordinate di civiltà e avendo di mira l’individuazione del modo migliore per garantire un ordinato e coerente sviluppo della società italiana. L'appuntamento a tutti è comunque al 1 Giugno 2018, quando festeggeremo i quindici anni della presenza in rete di federalismi con un convegno, il cui titolo è sì descrittivo, ma contiene un auspicio, “Processi costituzionali in Europa. Questioni e prospettive”. 



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