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Muovo dall’assunto, che considero indiscusso, secondo cui i partiti, da noi come altrove, versano in una condizione di palese sofferenza, a giudizio di molti di agonia, da cui sembra che non riescano più a riprendersi, al punto che la questione sul tappeto parrebbe esser solo quella di stabilire – ammesso che possa farsi con un minimo di attendibilità – quanto potrà durare questa condizione prima dell’esito fatale e quale scenario terrificante potrebbe ad esso conseguire. Confesso di non disporre di elementi sicuri idonei a sciogliere il dilemma in un senso o nell’altro. Certo si è, tuttavia, che il trend parrebbe essere verso una progressiva consunzione davanti alla quale risulta assai problematico e disagevole una inversione di rotta. Si danno due indici eloquenti che avvalorano il pessimismo strisciante e sempre più diffuso: l’assenteismo crescente alle consultazioni elettorali a qualsivoglia piano istituzionale (la vicenda della Sicilia, ultima in ordine di tempo, docet), che ha ormai superato abbondantemente il livello di guardia, e il dilagare a macchia d’olio dei movimenti e formazioni politiche in genere che hanno fatto del populismo la loro bandiera. Ciò che poi dà non poco da pensare è la dimensione del fenomeno: ormai sono forse di più i Paesi occidentali, di tradizioni liberal-democratiche, nei quali il fenomeno stesso trova riscontro e va sempre di più radicandosi, al confronto di quelli che parrebbero esserne immuni o, diciamo meglio, nei quali lo stesso si manifesta in modo meno crudo e invasivo (è evidente, invece, che di ciò non si ha riscontro in Stati non costituzionali, nei quali la protesta è costretta a restare sotto traccia ovvero è soffocata sul nascere). È interessante notare (e induce ad una disincantata riflessione) il fatto che molte volte le coalizioni di forze politiche che danno vita alla maggioranza sono costrette, al fine di poter venire alla luce e sopravvivere, ad includere al proprio interno anche forze politiche populistiche, che hanno cioè quali punti qualificanti del loro programma l’uscita dall’Unione europea, la chiusura delle frontiere ai migranti e quant’altro mostra d’ispirarsi ad un nazionalismo ingenuo e infecondo, frontalmente contrastante con la tendenza alla integrazione sovranazionale ed all’infittirsi dei vincoli discendenti dalla Comunità internazionale che è una delle più salienti espressioni del tempo presente. Ciò che, però, maggiormente dovrebbe attrarre l’attenzione degli stessi operatori politico-istituzionali, ad oggi vistosamente ed irresponsabilmente insensibili al riguardo, è proprio il dato dell’assenteismo. Forse, non si è riflettuto a sufficienza sul fatto che, non partecipando alle elezioni più della metà degli aventi diritto al voto, i vincitori delle elezioni stesse, quale che sia il meccanismo di conversione dei voti in seggi, non hanno legittimazione sostanziale all’esercizio dell’attività di governo: un’attività, dunque, che è in sé e per sé non rispondente al valore democratico, nella sua ristretta e propria accezione... (segue)
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