editoriale di Giovanni Maria Flick
I sessant'anni della Costituzione Italiana: una riflessione sul passato, un progetto per il futuro
«La Costituzione rappresenta più che mai – nella sua comprovata validità – un patrimonio comune»: nessuna forza politica può reclamarne in esclusiva l’eredità, «possono solo, tutte insieme, richiamarsi ai suoi valori e alle sue regole, e insieme affrontare i problemi di ogni sua specifica, possibile revisione». Così il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il 23 gennaio scorso, ha celebrato il 60° anniversario della Costituzione repubblicana.
Le origini e il contenuto della Costituzione – fra loro inscidibilmente connessi – rendono ragione del suo essere un “patrimonio comune”, della sua attualità e della sua capacità di continuare a costituire il punto di riferimento della nostra convivenza, nonostante i profondi mutamenti del contesto sociale, politico ed economico, rispetto a quelle origini; ferma restando la necessità di qualche limitato ritocco di quel contenuto. E, d’altronde, prima di interrogarsi sull’attualità o sull’obsolescenza della Costituzione – come oggi è di moda – occorrebbe chiedersi quanto di essa resta ancora da attuare, a sessanta anni dalla sua entrata in vigore. Non v’è, infatti, soluzione di continuità fra le due fasi di attuazione e di revisione della Costituzione: la prima, caratterizzata da vistosi ritardi e inadempienze; la seconda, da interventi settoriali e limitati e da tentativi non riusciti di revisione più ampia.
L’appello al “patrimonio comune” non è retorica. Non compiremmo alcun passo avanti e rischieremmo di doverci rifugiare nello sterile terreno della retorica, se non partissimo dalla Costituzione, senza però allontanarcene: senza riconoscere che, nonostante i decenni e qualche ruga, la Carta è più che mai viva, soprattutto ma non soltanto nella sua prima parte. E se questa è inviolabile quasi quanto i princìpi che afferma, la seconda parte va maneggiata con estrema cura, perché le garanzie e i contrappesi fra i poteri e le istituzioni non costituiscono soltanto un insieme di regole, liberamente modificabili a colpi di maggioranza e soggette solo al criterio dell’efficienza; da quelle regole, pur nella diversità dei sistemi possibili, dipende il concreto, quotidiano realizzarsi dei princìpi e del metodo democratici. Infatti, l’equilibrio dei poteri, proposto nella seconda parte della Costituzione, condiziona l’effettività delle garanzie e dei diritti fondamentali riconosciuti nella prima parte;
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