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NUMERO 13 - 20/06/2018

Il consenso ai tempi dei social

Le prossime elezioni europee del maggio 2019 saranno cruciali. Per l'Italia, per l’Europa, per il mondo intero, se è vero che gli equilibri mondiali non possono permettersi un'Europa fragile e incerta. La battaglia per l'Europa non si combatte solo sul terreno del superamento della crisi: la crisi economica c'è stata, è vero; e l'Italia e l'Europa non crescono più da oltre dieci anni. Ma è anche vero che l'Italia e l'Europa avevano raggiunto dieci anni fa livelli di benessere mai conosciuti prima e si erano rialzati dalle rovine morali e materiali in cui si erano ritrovati solo settant'anni alla fine della seconda guerra mondiale. La battaglia per l'Europa si combatte sul terreno della egemonia culturale. È questo lo scontro che i tradizionali movimenti politici europei non hanno saputo affrontare e hanno finora clamorosamente perso. Le famiglie politiche europee sono ancora quelle formate nel XIX secolo, liberali, popolari, socialisti. Hanno affrontato la trasformazione dalle democrazie liberali monoclasse alle democrazie sociali pluriclasse; hanno retto l’urto del suffragio universale elaborando il modello dei partiti di massa; hanno superato i venti anni oscuri dei fascismi e i settant'anni egualmente oscuri del comunismo fattosi stato, tradendo l’originaria impostazione rivoluzionaria. Hanno operato con i mezzi di comunicazione di massa tradizionali, utilizzando a tal fine il fondamentale principio liberale della libertà di manifestazione del pensiero; la stampa è sempre stata funzionale all'impostazione politica delle tradizionali famiglie politiche europee, che hanno poi - pur se a fatica e con difficoltà (i lettori più adulti ricordano sicuramente i tentennamenti del PCI sulla televisione a colori oppure le modalità distorte con cui si arrivò al superamento del monopolio di stato sulla televisione) - saputo adeguarsi anche al mezzo televisivo. Ma la cultura politica del mondo occidentale democratico è stata clamorosamente travolta dall’avvento dei social network: la possibilità di far circolare gratuitamente informazioni senza la mediazione dei tradizionali operatori della comunicazione ha totalmente cambiato le carte in tavola nel dibattito politico. E gli attori politici e culturali tradizionali non si sono accorti che, nell’apparente vuoto sociale di una comunicazione pubblica disintermediata, si inserivano nuovi operatori in grado di creare meccanismi di consenso nei social e attraverso di essi, sfruttando maglie e connessioni che solo qualche anno fa sembravano innocue, veicolando messaggi semplici, schematici, di immediata comprensione, a prescindere dalla loro fondatezza. Qui nascono i fantomatici algoritmi, che si sono rivelati in grado di diffondere informazioni, false o vere che fossero (ma chi stabilisce cosa è fake news o cosa è true news?), e hanno permesso di orientare l'opinione pubblica di massa, di creare egemonia e, alla fine, di far vincere le elezioni, cioè il vecchio, tradizionale e ineliminabile strumento della democrazia rappresentativa, a chi in realtà questo strumento cercava e cerca tuttora di aggirare. Indietro non si torna. Si possono stringere le regole, fissare paletti più severi per il rispetto della privacy, impedire la circolazione incontrollata delle informazioni personali, responsabilizzare gli operatori dei social network (da Google a YouTube e agli altri OTP, da Facebook a WhatsApp, da Instagram  a Telegram, da Viber alle mille altre diavolerie che potranno essere inventate). Ma la strada per la creazione del consenso, presupposto non aggirabile per il funzionamento degli ordinamenti democratici, non tornerà più ai comizi in piazza del dopoguerra, ma nemmeno alla carta stampata o alle televisioni tradizionali. Certo, la presenza sul territorio o sui giornali o sugli schermi televisivi non potrà essere abbandonata, ma da lì non passerà più la formazione delle opinioni pubbliche. E non basterà alzare il livello di controllo sulla rete, né bloccare le fake news (di nuovo, chi controlla cosa è fake?). La verità è che in rete circola non solo juke information, ma anche informazione di qualità: ci sono università on line, riviste scientifiche di eccellenza, canali OTP che propongono una programmazione specialistica e divulgativa di alto livello. Ma manca il collegamento, manca la capacità di fare sistema: alla informazione di qualità in rete manca la capacità di fare rete. Iniziamo da qui, allora, costruendo strutture di collegamento e di valutazione della qualità delle informazioni, attivando meccanismi collettivi di warning e alert, aiutando l'utente medio di trovare i percorsi informativi giusti nel mare delle fake e delle trash news. Insomma, “occupiamo”, con la forza della nostra cultura liberale, democratica e popolare,  i social network!

 

 



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