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Non è mai facile confrontarsi con la lezione di un Maestro. E tale è stato per molti Beniamino Caravita, che dominava con non comune apertura di idee, e, altresì, notevole pragmatismo, non solo il diritto costituzionale, ma (almeno) anche il diritto comparato, che lo aveva attratto sin dai tempi della laurea in Giurisprudenza; il diritto amministrativo, che padroneggiava forte anche dell’intensa attività professionale; nonché, certamente, il diritto europeo. Era, insomma, notoriamente, un giuspubblicista a tuttotondo, eclettico e sempre avanti coi tempi; quasi, verrebbe da dire, una sorta di pioniere del diritto pubblico, per la curiosità, ed anche – se si vuole – il coraggio, con cui si avventurava su terreni di indagine in precedenza poco o nulla esplorati dalla dottrina. Scontato, a tal proposito, il riferimento all’ambiente, ormai oggi espressamente annoverato tra i principi fondamentali, ma ancora forse scarsamente indagato dai costituzionalisti quando vedeva la luce la prima edizione del relativo Manuale. Analoga intuizione ne aveva più di recente sostenuto l’interesse per la riorganizzazione amministrativa di Roma Capitale e, da ultimo, – in un’estrema sintesi, che non rende giustizia alla ricchezza dei Suoi interessi – per le problematiche di rilievo costituzionale connesse all’intelligenza artificiale e agli usi (e abusi) che se ne possono fare, in particolare nell’esercizio del potere, non solo pubblico, ma anche privato. E un precursore Caravita è stato certamente quando ha cominciato a guardare al processo di integrazione europea attraverso la lente di ingrandimento offerta dalle categorie concettuali classiche del diritto costituzionale, per quanto opportunamente adattate, in un’epoca in cui era ancora dominante la convinzione che quest’ultimo fosse prodotto normativo solo e strettamente riferibile allo Stato, sicché quel processo andava consegnato senza margini al piano del diritto internazionale (... segue)
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