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NUMERO 17 - 18/09/2019

Il sistema della giustizia sportiva in Italia

Delle attività umane quella sportiva ha costituito sin dall’antichità il fenomeno sociale più costantemente presente nell’ambito delle collettività, anche quando queste non erano organizzate. Non appena è stato raggiunto un livello organizzativo accettabile la collettività di riferimento ha dovuto occuparsene operando scelte politiche più o meno precise. Forse si è trattato di una scelta anche quando si è preferito lasciarla completamente alla libera iniziativa degli interessati. L’attività sportiva è diventata giuridicamente rilevante, in quanto tale, quando dall’agonismo sportivo occasionale o a programma limitato si è passati all’agonismo a programma illimitato, ossia alla disputa di gare collegate tra loro senza limiti di spazio e di tempo, contrariamente al primo caso dove si trattava di gare isolate e non collegate. Tant’è che si è resa necessaria la fissazione di regole tecniche scritte, di accertamento, di controllo e di catalogazione dei risultati conseguiti. Inoltre l’aumento continuo delle discipline sportive ha determinato la necessità di avere regolamenti diversi per ciascuna di esse e quindi il sorgere di strutture di settore per amministrare il fenomeno. Bisogna anche considerare che a far parte dell’attività sportiva non sono solo gli atleti, ma anche, e necessariamente, allenatori, arbitri, medici, giudici, dirigenti, spettatori e così via. Sin dall’inizio i giuristi ma anche la giurisprudenza dell’ordinamento generale di riferimento, hanno correttamente inquadrato l’attività sportiva nell’ambito della teoria degli ordinamenti giuridici settoriali e in particolare facendo riferimento al pluralismo delle formazioni sociali, garantito dagli artt. 2, 3 e 18 della Costituzione. Questo ha consentito sia di riaffermare l’autonomia negoziale dei privati come valore fondante del nostro ordinamento sia di considerare l’ordinamento sportivo in maniera unitaria, nonostante la sua complessità. D’altronde se si osserva il fenomeno per come si presenta nella realtà, esso contiene in sé tutti gli elementi propri di un ordinamento giuridico non statuale, ossia una pluralità di soggetti impegnati nella pratica agonistica di uno sport, organizzati in strutture predefinite e retti da regole autoprodotte. Una volta accertata la natura giuridica dell’ordinamento in esame, sorgono due questioni fondamentali e che si riflettono sul sistema della giustizia sportiva, ossia il tipo di rapporto tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale, complicato dal fatto che il primo è retto anche da norme sovranazionali e globali, e il tipo di rapporto tra le strutture amministrative pubbliche preposte all’attività sportiva e quelle create spontaneamente dagli operatori economici del settore, che hanno assunto oramai la veste di imprenditori in senso tecnico e che quindi organizzano i propri capitali e il lavoro di atleti professionisti al fine di produrre il servizio sportivo, nazionale e internazionale, secondo le regole del mercato. Assumono un rilievo particolare le Leghe, che sono associazioni non riconosciute ai sensi dell’art. 36 del codice civile e definite di secondo grado, in quanto associazioni di associazioni (società sportive), professionistiche e dilettantistiche, con legittimazione negoziale (importantissima quella esercitata a proposito dei contratti relativi ai diritti televisivi) e capacità organizzativa autonoma, riconosciute e favorite dalle Federazioni e dal Coni, che ne controllano gli statuti e i regolamenti. Per contro le Leghe partecipano attivamente all’elezione degli organi direttivi delle federazioni di appartenenza (ad es. Figci)… (segue)



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