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NUMERO 7 - 28/03/2018

L'elezione dei nuovi Presidenti delle Camere: ritorno al consociativismo o verso un nuovo bipolarismo?

Il 24 marzo, non a caso in contemporanea, Camera e Senato hanno eletto a scrutinio segreto i propri rispettivi Presidenti. Alla Camera è risultato eletto al quarto scrutinio Roberto Fico (M5S), che ha ottenuto 422 voti rispetto ai 311 richiesti, pari alla maggioranza assoluta dei 620 deputati presenti e votanti. Al Senato è stata eletta al terzo scrutinio Maria Elisabetta Alberti Casellati con 240 voti contro i 160 richiesti, pari alla maggioranza assoluta dei 319 voti totali. In entrambi i casi si tratta di parlamentari non neofiti, come invece furono per la prima volta i loro predecessori. Piuttosto, per la prima volta la carica di Presidente del Senato è ricoperta da una donna; dato, questo, rimarcato dal(la) neo Presidente nel suo discorso d’insediamento, forse con enfasi eccessiva giacché fin dal 1979 al 1992 e poi dal 2013 al 2018 donna è stata la Presidente della Camera. Va subito notato che, ai fini della determinazione della maggioranza elettiva richiesta, in entrambe le camere sono state conteggiate non solo, come da regolamento (v. artt. 4.2 r.C. e 4 r.S.), le schede bianche, ma anche, come da prassi, le schede nulle. Il che ha contribuito a spingere verso un accordo le forze politiche presenti in Aula; la soluzione alternativa, infatti – e cioè l’assentarsi dalla seduta pur garantendone il numero legale per favorire l’elezione di un candidato avverso, marcandone al contempo le distanze – non sarebbe certo stato un bel modo d’iniziare la legislatura, soprattutto agli occhi degli elettori, per lo più contrari a simili bizantinismi parlamentari. Proprio l’esigenza di non cadere in una situazione di stallo che sarebbe stata giudicata negativamente dagli elettori, ha certamente contribuito a risolvere una partita – quella dell’elezione dei presidenti delle camere – che sembrava complicata, per la difficoltà, alla luce del risultato elettorale del 4 marzo, di delineare le maggioranze parlamentari richieste e d’individuarne i candidati. Il risultato, alla fine, è andato al di là dei timori della vigilia: al Senato non c’è stato bisogno di ricorrere al ballottaggio (com’è noto, previsto per individuare subito il supplente del Capo dello Stato), grazie a cui il centro-destra avrebbe potuto eleggere da solo il proprio candidato, esponendosi però a ritorsioni alla Camera, dove, invece, a seguito dell’accordo raggiunto con il M5S, si è scongiurata la prosecuzione sine die dello scrutinio. Grazie, dunque, all’accordo tra la coalizione di centro-destra, guidata dal leader della Lega Matteo Salvini, ed il Movimento 5 Stelle, i due candidati alla fine designati (dopo immancabili tattiche che hanno messo a rischio la tenuta della suddetta coalizione) hanno riscosso un ampio consenso – il 75% per la Casellati e il 68% per Fico –, benché inferiore ai numeri disponibili sulla carta, forse in misura eccessiva rispetto a quanto preventivabile in un’elezione a scrutinio segreto. Per avere simili percentuali bisogna tornare ai tempi della c.d. Prima Repubblica. Le ultime elezioni con percentuali superiori sono state quelle, avvenute entrambe al primo scrutinio il 2 luglio 1987, della Iotti alla Camera (72,5%) e di Spadolini al Senato (78,3%); anzi, fino al 1987, ad inizio legislatura i Presidenti delle camere sono stati eletti sempre al primo scrutinio. Tali ampie maggioranze raggiunte sono tanto più significative perché frutto di un accordo tra forze politiche presentatesi come alternative alle elezioni e non, come accaduto dalla XII legislatura in poi, solo di quelle che le hanno vinte (dalla XV legislatura grazie al premio di maggioranza previsto dalla l. 270/2005). Non a caso, nella c.d. Seconda Repubblica i Presidenti delle Assemblee sono stati eletti con maggioranze inferiori, coincidenti con la maggioranza di governo: tra il 52 ed il 57% alla Camera dal 1994, mentre al Senato si va dal 57% del 1994 all’appena 44% del 2013... (segue)



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