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NUMERO 11 - 02/06/2010

La crisi greca e la cultura costituzionale della stabilità economica e finanziaria

L’esplosione della crisi finanziaria greca ha messo al centro del palcoscenico europeo una serie di attori nazionali preoccupati delle ripercussioni di quegli eventi all’interno del proprio ordinamento ( Spagna, Portogallo e Italia) ovvero decisi ad ottenere un sostanziale cambio di rotta rispetto alle politiche di bilancio (Germania) e un attore internazionale (Fondo Monetario Internazionale).
Sullo sfondo di questa vicenda abbiamo assistito al dialogo diretto tra il presidente USA Obama e la cancelliera tedesca Merkel che invoca forme di controllo sui comportamenti speculativi da adottare sulla falsariga delle misure in corso di approvazione da parte dal Senato federale degli Stati Uniti d’America per aumentare il livello di regolazione pubblica dei mercati finanziari.
Nel momento in cui la “malattia” greca è emersa nella sua reale gravità, con la certificazione del presidente della Commissione europea Barroso che dopo la metà di marzo lanciava il suo appello a tutti i partners europei per scongiurare il pericolo di fallimento della Grecia, è emersa tra gli attori europei una sostanziale contrapposizione tra i paesi “a rischio” per effetto dell’accumulo di un pesante deficit interno (Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia che può però contare su un livello di risparmio privato decisamente più consistente rispetto a quello presente nella penisola iberica) e la posizione rigorosa della Germania.
La Germania ha avuto un ruolo chiave nella fase della definizione degli obiettivi di un piano di recupero condizionato: la contropartita degli aiuti europei avrebbe implicato la formalizzazione dell’impegno da parte della Grecia (e dei paesi più esposti) al risanamento dei conti interni attraverso una consistente riduzione della spesa pubblica che pesa come un macigno nella attuale congiuntura economica caratterizzata da un tasso di crescita molto flebile.
In questo clima il capo del governo greco Papandreu denunciava, dopo la metà di aprile, l’urgenza di assumere una rapida decisione in ambito europeo (entro il 19 maggio) al fine di evitare l’insolvenza di un paese che non riesce più a sostenere i costi elevatissimi dei rendimenti dei titoli del proprio debito pubblico... (segue)



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