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NUMERO 5 - 28/02/2018

Piero Calamandrei Comparatista

  A scorrere la lunga e ricca bibliografia di Piero Calamandrei, che conta ben 900 titoli, come risulta dalla curatela di Anita Mondolfo e Mauro Cappelletti e pubblicata sul numero straordinario de Il Ponte dedicato a Calamandrei nel 1958, gli scritti – tra articoli, note e recensioni – ascrivibili, di primo acchito, al diritto comparato, sulla base della sola lettura del titolo, risulterebbero essere oltre una sessantina. Sarebbe però un errore provare a qualificare Calamandrei comparatista solo sulla base delle cose da lui scritte su istituti e procedure di diritto straniero. Innanzitutto e soprattutto si rischierebbe così di non tenere conto di contributi che, seppure nel titolo non fanno emergere riferimenti espliciti al diritto straniero, hanno una valenza molto più comparatistica rispetto a questi. Si pensi, per esempio, alla sua prima monografia La chiamata in garantia(1913), che si apre con una sezione intitolata “Appunti di storia e di legislazione comparata sull’azione di garantia”, divisa in due capitoli, il cui secondo capitolo ha un chiaro e preciso rilievo comparatistico. E poi, soprattutto, al primo volume su La Cassazione civile (1920), dedicato a “Storia e legislazioni”, dove vi è un approfondito scavo storico sulla fondazione e la successiva evoluzione del Tribunal de Cassation francese e degli omologhi organi italiano, tedesco e di altri Paesi. Utilizzando così il metodo storico-comparativo, che è uno dei modi migliori e più efficaci di fare diritto comparato. Peraltro, il libro sulla Cassazione civile è stato oggetto, per così dire, di una comparazione dall’esterno, come nota Calamandrei ricordando come l’indagine ebbe «risultati accettati oggi anche dalla dottrina straniera», citando in proposito un volume di Schwinge pubblicato nel 1935 e dedicato ai fondamenti del diritto di revisione, ovvero sui compiti del Reichsgericht e sul potere di farvi ricorso. Calamandrei è comparatista perché compara. Può sembrare un’ovvietà ma così non è. Non si limita a esporre come funziona il processo e le sue tecniche in altri Paesi; non fa, quindi, diritto straniero. Piuttosto illustra somiglianze e differenze, ovvero indaga sull’applicazione degli istituti nei vari ordinamenti e li compara con l’ordinamento italiano. Quella della distinzione fra diritto straniero e diritto comparato è una vecchia questione, che ancora oggi torna nel dibattitto sul metodo. Certo, all’epoca di Calamandrei non c’era ancora un’autonomia scientifico-disciplinare del diritto comparato, anzi si rigettava l’analisi comparatistica di cui si teorizzava l’inutilità con un’espressione all’epoca diffusa: “altre genti, altri climi”. E quindi, la capacità di sapere usare la comparazione come ausilio per ben interpretare le leggi era prerogativa riservata solo ai grandi maestri, che facevano diritto comparato in maniera vorrei dire spontanea, come deve essere fatto, senza cioè una vera e propria teorizzazione del ruolo della comparazione giuridica. Pertanto, usare la comparazione ai fini di una graduale conquista della universalità del diritto, e poi una funzione del diritto come complesso di comandi praticamente operanti, quindi uno stretto rapporto fra scienza e realtà e, infine, un approccio unitario della comparazione, al di là della distinzione fra diritto pubblico e diritto privato. Tutto ciò perché consapevoli che andando a guardare diritto e diritti all’estero, per poi raffrontarli con quanto disciplinato nel diritto nazionale, era lo strumento grazie al quale si poteva raggiungere una nuova universalità e superstatualità del diritto. Nel caso di Calamandrei, poi, proverò a dirlo meglio più avanti, l’utilizzo della comparazione serviva altresì per difendere l’ideale della giustizia come legalità. Come quando nello indagare sulle novità processuali introdotte dal nazismo in Germania e dal comunismo in Russia condannò le gravi limitazioni al principio di legalità, alla prevalenza data al potere creativo del giudice su quello dichiarativo, lo spostamento sempre più accentuato dalla forma dispositiva alla forma inquisitoria del processo. La comparazione serve a Calamandrei per distinguere quegli ordinamenti in cui la legge è il prius e la sentenza è il posterius, dove cioè la funzione giudiziaria si trova a essere necessariamente separata dalla politica, a differenza di quegli ordinamenti, come la Germania nazista e la Russia comunista, dove la formulazione del diritto anziché riservata al legislatore è rimessa al giudice. Da qui nasce la riflessione intorno al giudice e lo storico, nella disputa fra Croce e Calogero intorno alla qualificazione dell’attività del giudice nel momento in cui decide la quaestio facti: proponendo la distinzione fra l’attività del giudice nei sistemi  a prevalenza giudiziaria, e quindi più politico che storico, da quelli a prevalenza legislativa, dove il giudice è soprattutto uno storico. E’ chiaro se si volesse scavare sulla produzione di Calamandrei in punto di diritto comparato, bisognerebbe andare a leggere le opere per evidenziarne i passaggi comparatisitici e vedere l’effetto che fa... (segue)



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