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I drammatici eventi francesi degli ultimi giorni rendono ancora una volta straordinariamente attuale il tema della raccolta di informazioni e delle grandi basi di dati gestite da operatori pubblici e privati ed utilizzate spesso, come nel caso dei sistemi di prenotazione aerea, a fini di sicurezza e di prevenzione del crimine. La cronaca giornalistica evidenzia che purtroppo, nonostante l’intelligence nazionale e altri organismi investigativi d’oltralpe disponessero di molteplici e particolareggiate informazioni sugli autori delle stragi che hanno scosso il mondo intero, le abbiano nei mesi passati valutate in modo erroneo, il che non ha permesso di prevenire più efficacemente quello che è stato definito non a torto l’“11 settembre” della Francia. Ciò nonostante, appena terminata l’orribile sequenza criminale cui il globo intero ha assistito in diretta, alcuni hanno posto subito l’accento sulla mancanza di idonee informazioni e hanno seguìto la strada cui siamo da tempo abituati dopo ogni emergenza o fatto tragico: quella di proporre la raccolta di nuovi dati su larga scala su normali cittadini, viaggiatori o persone sospette, di introdurre nuove misure emergenziali, di colmare insomma l’asserito gap informativo degli organismi investigativi. Qualcosa non ha funzionato nell’analisi dei dati disponibili, oppure possiamo concludere che le norme europee e nazionali in materia di protezione dei dati personali hanno creato ostacoli non più sostenibili per un Paese sempre più a rischio terrorismo? Dobbiamo attenderci un riequilibrio emergenziale tra privacy e sicurezza? Occorre affidarci di più agli algoritmi, oppure rilanciare il fattore umano nelle investigazioni? Non è né la prima volta, né – purtroppo – l’ultima che l’eco di sanguinose stragi scuote l’opinione pubblica e alimenta un nuovo capitolo del dibattito tra sicurezza e diritti della personalità, che ogni volta si pone con drammaticità e sull’eco di onde emozionali – quella dei foreign fighter, questa volta –mentre andrebbe affrontato con lucida meditazione e ottiche lungimiranti di più lungo respiro. I dati personali dei passeggeri nei voli aerei sono già tracciati e disponibili attraverso le informazioni c.d. APIS. L’Europa fornisce poi, in aggiunta, ad alcuni Paesi terzi (USA, Canada, Australia) ulteriori dati contenuti nel c.c. PNR (Passenger Name Record) della cui raccolta e immagazzinamento si è discusso molto a livello europeo, in chiave di rispetto dei princìpi di necessità e proporzionalità che sono cogenti nel trattamento dei dati. Al punto che una proposta di istituzione della raccolta di dati PNR per l’Europa è stata “bocciata” dal Parlamento europeo. Sull’onda degli eventi francesi si resusciterà questa proposta? Verranno rispettati i dettami della Corte di giustizia UE affermati di recente allorché è stata annullata la direttiva europea sulla raccolta obbligatoria dei dati del traffico telefonico e telematico?. Si tratta di misure di cui è realmente dimostrata l’effettiva necessità e proporzionalità, il cui (enorme, data l’ammontare gigantesco dei dati) costo sociale ed economico è obiettivamente giustificato alla luce dei risultati investigativi che con esse si possono raggiungere? Siamo proprio sicuri che non esistano alternative mirate ben più efficaci e di cui, in un’epoca peraltro di austerità economica, i cittadini non debbano sostenere l’onere economico?... (segue)
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