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NUMERO 25 - 09/09/2020

Tornare alla normalità dei rapporti Stato-Regioni. Errori da evitare e lezioni da meditare

Tra le molte cose che speriamo di esserci lasciati alle spalle di questi ultimi mesi segnati dal dilagare dell’infezione di COVID-19 vi è l’alta tensione, spesso sfociata in conflittualità,  tra Stato e Regioni, assecondata da almeno due fattori “istituzionali”: l’inestricabile intreccio di competenze normative che chiedevano di essere attivate per contrastate i diversi effetti della crisi sanitaria (l’Osservatorio Emergenza COVID 19 della nostra Rivista ha censito 670 provvedimenti di Stato e Regioni nel periodo febbraio-giugno) e l’assenza di una disposizione costituzionale sull’emergenza, diversamente da quanto accade in altri Paesi anch’essi colpiti dalla pandemia, come Francia, Spagna e Germania. Pur non essendo state consumate gravi e palesi violazioni alla Costituzione, è però indubbio che molte cose non hanno funzionato nei rapporti Stato-Regioni e che il livello di tensione nelle relazioni istituzionali sia spesso giunto ad un livello di guardia, come dimostrano le quotidiane e reciproche accuse di invadenza dell’altrui terreno cui abbiamo assistito nella fase acuta dell’emergenza. La c.d. Fase 2, poi, non è iniziata benissimo a causa dei contrasti sulla data per la riapertura delle scuole, sulla decisione governativa circa la data dell’election day, sulle Linee guida per la riapertura delle scuole e sulla gestione del trasporto scolastico, sull’utilizzo dei fondi europei …per fermarci ad alcune delle questioni più rilevanti, oltre quella sanitaria. Ora però occorre un deciso cambio di passo, come da settimane ripete il Presidente della Repubblica, anche sul terreno dei rapporti Stato-Regioni. Lo slogan “niente sarà più come prima” va corretto e scorporato in due diverse proposizioni: anzitutto “tutto deve tornare come prima”, nel senso che occorre quanto prima uscire dalla fase dell’emergenza per tornare ad una normalità di relazioni istituzionali; in secondo luogo occorre, per ripartire seriamente, imparare da ciò che è accaduto. L’emergenza, inoltre, ha reso evidenti una serie di problemi che hanno a che fare, anche con il modo di “impersonare” le istituzioni stesse e che si trasmette inevitabilmente nella loro organizzazione. Le ricorrenti affermazioni da parte di alcuni Presidenti di Regione (e di qualche Sindaco) circa la necessità di proteggere i “propri” territori e, per converso, la riaffermazione da parte del Governo della primazia della persona giuridica Stato come fictio iuris di antica memoria, e perciò “prevalente” sui territori regionali, evidenziano entrambe una visione a dir poco parziale, rispetto alla ben più ampia e comprensiva prospettiva della Repubblica che si evince dalla Costituzione, così come richiamata da Beniamino Caravita nell’Editoriale del 18 marzo u.s., (L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana. A differenza del periodo che speriamo di esserci lasciati alle spalle, che aveva - e non poteva essere diversamente - la parola d’ordine dell’emergenza, il periodo che abbiamo davanti dovrà essere contrassegnato dal ritorno alla normalità delle relazioni e dalle azioni più che dai divieti. Proprio perciò i rapporti tra le istituzioni territoriali dovranno essere contrassegnati dalla massima chiarezza e collaborazione affinchè cittadini e istituzioni pubbliche e private possano operare in un contesto di regole chiare e non conflittuali. Soprattutto possano operare in un contesto in cui è chiaro quale istituzione può dettare le regole assumendosi così la responsabilità della loro attuazione. Va precisato, per la verità, che le polarità e le tensioni non nascono oggi. La breve storia delle Regioni italiane (appena diventate 50enni) è irta di difficoltà di rapporti sia con lo Stato (con i Governi in particolare), sia con l’altra faccia del sistema locale, cioè con le autonomie territoriali, (conflitti che diedero luogo alla famosa sintesi del regionalismo vs. municipalismo) (segue)



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