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NUMERO 21 - 07/11/2018

Un'anatra non così zoppa (o delle elezioni di midterm del 6 novembre 2018)

Il senso profondo delle elezioni di midterm, nell’assetto politico-istituzionale statunitense, lo aveva già colto centotrenta anni fa quella figura poliedrica che è stata James Bryce, regius professor di diritto civile ad Oxford, poi politico nonché futuro ambasciatore britannico negli Stati Uniti, in quella seminale opera del 1888 che è The American Commonwealth, laddove sottolineava che le elezioni di midterm offrono all’elettorato americano l’opportunità di giudicare, innanzitutto, l’azione del governo del presidente; permettendo, sostanzialmente, «al popolo entro due anni di esprimere la sua approvazione o disapprovazione riguardo alla condotta [del Presidente], inviando un'altra Camera dei Rappresentanti che può sostenere o opporsi alla politica che [questi fino ad allora] ha seguito». In questo senso, le elezioni per il rinnovo completo dei 435 membri della Camera dei Rappresentanti sono come una “seconda elezione” nazionale, essendo questa competizione - oltre a quella presidenziale - l’unico momento elettorale politicamente articolato, pur su collegi piccoli, su tutto il territorio nazionale; un momento elettorale capace di coinvolgere contestualmente e simultaneamente, nello stesso giorno, l’intera platea degli elettori (quella per il Senato, infatti, è sempre una competizione parziale, perché rinnova ogni due anni solo di un terzo dei componenti, coinvolgendo solo il perimetro elettorale di ciascuno Stato, di volta in volta chiamato in causa). Inevitabilmente, dunque, le elezioni di midterm rappresentano, anzitutto dal punto di vista politico, un “referendum” generale sull’attività del presidente, eletto appena due anni prima; al punto tale che alcuni autori arrivano addirittura a sostenere che si tratti di una sorta di implicito voto di fiducia, sulla falsariga di quelli propri delle forme di governo parlamentari. Sia come sia, con il rinnovo della Camera dei rappresentanti, la logica politica di tipo nazionale, di controllo dell’attività e dell’operato presidenziale da parte del popolo, domina tutto l’election day di medio termine. Essa infatti permea, in modo profondo e trasversale, anche le altre elezioni – parziali, per natura e perimetro politico - che qualificano il midterm, ossia, tanto il rinnovo, come detto, di un terzo (35) dei cento membri del Senato, quanto quello, in questo caso, di trentasei governatori statali su cinquanta (oltre che, naturalmente, quello dei singoli membri dei parlamenti statali). E ciò avviene – si badi bene - nonostante le profonde asimmetrie e differenze che vi sono tra le cariche istituzionali in palio, tra gli assetti dei partiti politici nazionali a livello statale e locale, nonché, ultimo ma non ultimo, tra i profili dei singoli candidati. Dunque, dentro una flessibilità ed un’elasticità strutturale, invidiabile per altre esperienze del mondo, nel mantenersi in contatto con i mutamenti della dinamica della realtà sociale, le elezioni di midterm, in un profondo, largo ed unico election day, per la loro natura di competizione nazionale alla quale partecipano, in modo coerente ed omogeneo, tutti i cittadini americani, collegio per collegio, contea per contea, sono l’emblema di un sistema politico-istituzionale che ricerca, al fondo, comunque uno spirito ed una logica politica unitaria; capace di riassumere, pur nei voti diversi ed articolati che ciascun elettore è chiamato ad esprimere nell’urna, il senso di un votare tendenzialmente espressivo di un indirizzo politico unitario, basato sostanzialmente sulla verifica del voto espresso due anni prima nell’elezione presidenziale… (segue)



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