Il nuovo codice dei contratti pubblici è un codice di principi: la prima parte è infatti ad essi interamente dedicata. Il codice contiene inoltre 35 allegati che hanno l’obiettivo di renderlo “autoesecutivo”. In questo senso si discosta, dunque, certamente dalla recente (e cattiva) abitudine di norme che rinviano a Linee Guida e, più in generale, a strumenti di soft law. In calce al codice si trovano infatti vari allegati che avrebbero natura regolamentare. Si ritorna, dunque, a quanto pare, al vecchio e caro sistema delle fonti come lo abbiamo insegnato per decenni nelle aule delle nostre università: con fonti di carattere secondario (i regolamenti ex art. 17 della L. 400/800) a completare le norme di legge laddove vi siano aspetti di esecuzione o attuazione necessariamente da demandare ad una normazione di rango secondario. Quanto ai principi, campeggiano nei primi due articoli il “principio del risultato” e il “principio della fiducia”. Che sono strettamente connessi. Vengono cioè a costituire un’endiadi, essendo il primo realizzabile solo ove il secondo sia adeguatamente soddisfatto. “L’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo” (art. 1 comma 1) sono infatti realizzabili solo in un contesto in cui vi sia “fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (art. 2 comma 1). Trattandosi di un commento “a prima lettura”, a mo’ di Editoriale, ritengo tuttavia che sia più utile concentrare qui l’attenzione su un altro aspetto del nuovo codice: e, cioè, sulle sue previsioni rilevanti rispetto al tema (delicatissimo e attualissimo) della transizione digitale della PA… (segue)
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