Per numerosi Paesi dell’Unione europea il 2017 è (o è diventato) l’anno di appuntamenti elettorali fondamentali. Le elezioni politiche in Olanda e le presidenziali in Francia hanno visto, in maniera non certo scontata, l’affermazione di forze più convintamente europeiste rispetto all’avanzata di movimenti di ispirazione nazionalista se non xenofoba. I prossimi mesi condurranno al rinnovo della composizione della Assemblea nazionale francese (dalla quale dipenderà il funzionamento della forma di governo dei prossimi cinque anni) alle snap elections inglesi del post-Brexit e, infine, alle elezioni federali tedesche del 24 settembre prossimo, che potrebbero portare Angela Merkel a una prospettiva di cancellierato lungo quanto quello di Helmut Kohl. Per l’Italia, diversamente, il 2017 non doveva essere l’anno delle scelte. Piuttosto, doveva essere un momento di attesa, transizione e ricomposizione del quadro politico, posto tra il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e le elezioni politiche di avvio della XVIII legislatura la cui scadenza naturale cade nella primavera 2018. In questo lasso di tempo, l’unica consultazione su scala nazionale avrebbe dovuto essere costituita dai due referendum abrogativi richiesti in materia di lavoro accessorio (cd. voucher) e di responsabilità solidale in materia di appalti (i relativi quesiti erano già stati dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale con sentenze nn. 27 e 28 del 2017). Tuttavia, com’è noto, è intervenuta una modifica legislativa di abrogazione integrale delle disposizioni oggetto di richiesta referendaria (con decreto-legge n. 25/2017, convertito dal Parlamento a fine aprile) sulla base della quale la Corte di cassazione, con ordinanza del 27 aprile scorso, ha dichiarato che le relative operazioni non avrebbero più avuto corso. E invece, molti elementi sembrano far presagire che proprio il 2017 potrebbe diventare, anche per l’Italia, l’anno delle elezioni politiche, per altro in una del tutto inedita collocazione autunnale: in queste ore proseguono infatti le trattative tra le forze politiche per una ulteriore modifica delle leggi elettorali, con l’intenzione di giungere a un accordo, identificando in questo anche il momento conclusivo della legislatura. Del resto, l’intervento sulla legge elettorale appare da ogni punto di vista indispensabile. Le discipline elettorali residuanti dalle sentenze nn. 1/2014 e 35/2017 della Corte costituzionale risultano ispirate a logiche profondamente diverse e potrebbero produrre risultati massimamente disomogenei (disattendendo così l’auspicio della stessa sentenza n. 35/2017). Alla Camera resta ancora in piedi un premio di maggioranza eventuale alla lista che dovesse raggiungere il 40% dei voti validi su scala nazionale. Inoltre, il confronto tra le due normative conduce a una composizione dell’offerta elettorale altamente differenziata tra Camera e Senato: residuano infatti soglie di sbarramento diverse e operanti, nell’un caso, a livello nazionale e, nell’altro, a livello regionale. Infine, solo la disciplina elettorale per il Senato prevede, al momento, la possibilità di coalizioni pre-elettorali. Fino a qualche giorno fa, le ipotesi di modifica elettorale formalmente avanzate erano state due (al netto delle diverse varianti tecniche che si sono succedute nel dibattito). Una andava nel senso di un rafforzamento dei (deboli) elementi maggioritari presenti nel quadro legislativo vigente, estendendo il premio di maggioranza anche al Senato (v. il testo unificato presentato l’11 maggio 2017 in Commissione affari costituzionali alla Camera dal(l’allora) relatore Mazziotti di Celso, salvo poi ritirarlo e dimettersi dall’incarico); l’altra, all’opposto, era ispirata a una accentuazione della matrice proporzionalistica della legge elettorale del 1993, riducendo tuttavia al 50% la percentuale di seggi da assegnarsi in collegi uninominali (in questa diversa direzione, il testo unificato presentato dal nuovo relatore Fiano nella seduta della Commissione del 17 maggio e adottato dalla stessa il successivo 23 maggio come base per la discussione delle proposte emendative). Stando alle più recenti dichiarazioni dei protagonisti, i consensi sembrano ora convergere verso una modifica consistente della seconda delle opzioni delineate, configurando un modello misto con prevalente impostazione proporzionale. Benché non sia ancora circolato un testo che ne chiarisca i contorni precisi, ci si riferisce a una formula elettorale astrattamente ispirata al modello vigente presso il Bundestag tedesco e dunque recante meccanismi di elezione uninominale diretta di una parte dei parlamentari, riequilibrata da un riparto proporzionale degli altri seggi, con la presenza di una non indifferente soglia di sbarramento per l’accesso al riparto dei seggi attribuiti con metodo proporzionale. Non vi sono ancora certezze, né dei tempi né dei contenuti, ma ciò che soltanto fino a pochi giorni fa sembrava altamente difficile (l’accordo sulla legge elettorale e le elezioni in autunno) appare, ad oggi, lo scenario più probabile... (segue)
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