All’inizio dell’anno, vari organi di stampa hanno sottolineato la singolare coincidenza – sin qui in parte inedita – in virtù della quale il 2024 avrebbe visto il susseguirsi, e talora il sovrapporsi, di consultazioni elettorali che avrebbero coinvolto grosso modo la metà dell’umanità, o almeno di quella parte di essa cui è riconosciuto il diritto fondamentale a esprimere il proprio voto in elezioni almeno in parte libere e pluraliste. Elezioni presidenziali e parlamentari erano infatti in calendario sia in alcune democrazie tradizionali (Stati Uniti e Gran Bretagna), sia in grandi Stati in cui il sistema democratico si è radicato più di recente, ma ormai in maniera inequivoca (India, Indonesia, Messico, Sudafrica), sia in Stati che utilizzano la tecnica democratica come un mero strumento di conferma formale al potere di leadership politiche basate sulla forza (è il caso della Federazione Russa). Anche fra gli Stati di piccola o media dimensione erano previste elezioni sia in condizione di democrazia consolidata (dal Portogallo al Belgio), sia in contesti democraticamente stabili, ma non esenti da criticità (da Panama alla Repubblica Dominicana, dal Senegal al Ghana), sia in Stati – ad es. dell’Africa subsahariana, come il Malì, o del Maghreb, come l’Algeria – ove l’utilizzo delle tecniche democratiche è ancora ad un livello embrionale di sviluppo. A tutto ciò vanno aggiunte quelle – invero singolari – elezioni previste a livello sovranazionale per il Parlamento europeo, che fra il 7 e il 9 giugno hanno coinvolto oltre 300 milioni di elettori, ed il cui risultato ha a sua volta aperto la via ad elezioni legislative anticipate in Francia, inopinatamente convocate dal Presidente Macron. Elections all around, dunque, per riprendere il titolo di un editoriale dell’Economist risalente alla fase storica immediatamente successiva al crollo del Muro di Berlino, in un tempo in cui il trionfo della democrazia rappresentativa sembrava un trend irresistibile, la cui estensione ad ogni più recondito ambito dell’orbe terracqueo pareva essere solo questione di tempo, senza risparmiare luoghi in cui – almeno da un punto di vista inglese – le elezioni avevano un sapore esotico. Sicché non pare del tutto peregrino utilizzare per l’anno in corso una definizione giornalistica tedesca (Superwahljahr) utilizzata nel 1994 per mettere in evidenza la prossimità temporale delle elezioni federali germaniche, di quelle previste in vari Länder e di quelle per il Parlamento europeo. Un super anno elettorale destinato a svolgersi sullo sfondo di due conflitti regionali di medio-alta importanza (quello ucraino e quello israelo-palestinese), con il rischio di apertura di un “terzo fronte” per l’isola di Taiwan, che fra l’altro era stato proprio uno dei primi Stati a celebrare libere elezioni nei primi giorni del 2024... (segue)
Argentina: il populismo “al quadrato” di Javier Milei alla dura prova dei fatti
Marco Olivetti (21/02/2024)