«La cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace, di seguito denominata “cooperazione allo sviluppo”, è parte integrante e qualificante della politica estera dell'Italia». Con questa affermazione, costituzionalmente ed internazionalmente orientata, si apre la normativa italiana sulla cooperazione internazionale allo sviluppo (art. 1, par. 1, legge 11 agosto 2014, n. 125), politica che non viene più sotto-ordinata dal nostro legislatore rispetto alla politica estera come avveniva nel regime normativo previgente in cui la cooperazione era soltanto «parte integrante delle relazioni economiche internazionali» (art.1, legge 9 febbraio 1979, n. 38), con tutte le conseguenze negative del caso, vedi il fenomeno patologico degli “aiuti legati”. Ha dunque piena cittadinanza nel nostro ordinamento, non soltanto la cosiddetta “politica estera giuridica” (ne rappresenta l’esempio paradigmatico la tradizionale azione diplomatica italiana nell’ambito delle Nazioni Unite per la moratoria oggi e l’abolizione domani della pena capitale), ma anche la novella “politica estera di cooperazione allo sviluppo” che ha fatto il proprio “rumoroso” ingresso nell’arena politica italiana con il Piano Mattei, lanciato dalla premier Giorgia Meloni nel corso del Vertice Italia-Africa del gennaio 2024. Tale Piano sarà oggetto di analisi e approfondimento nel presente editoriale perché, nonostante le feroci critiche che i suoi tanti punti dolens hanno suscitato, rappresenta una novità nel metodo e nel merito che non può non attirare l’attenzione e fomentare la curiosità intellettuale del mondo scientifico ed accademico. Quanto al metodo, si è già sottolineata la nascita, magari quasi inconsapevole, di un nuovo strumento di azione governativa che “ibrida” la politica estera con la cooperazione allo sviluppo. Anche nel merito il Piano Mattei non ha precedenti perché se è vero che il nostro Paese ha riconosciuto negli ultimi decenni una precisa priorità alla cooperazione con l’Africa, finanziando numerosi progetti governativi e non, è peraltro innegabile che ciò sia avvenuto in maniera sostanzialmente anarchica e soprattutto in assenza di una strategia ben definita e di risorse sufficienti. Di conseguenza, un Piano che ponga l’Africa al centro del dibattito e che preveda nel contempo un maggiore coordinamento e un aumento dei finanziamenti rappresenta un vero e proprio cambiamento di paradigma della nostra politica... (segue)
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