editoriale di Paolo Ridola
Il voto europeo del 6 e 7 giugno: la “sfera pubblica europea”, l’integrazione multilivello e le sfide della complessità
Ha scritto Clifford Geertz che alla domanda “chi siamo noi che abbiamo fatto questo?”, punto di partenza di ogni possibile riflessione sui connotati identitari di una comunità, e dunque anche sulla nostra identità di europei e sul nostro senso di appartenenza ad una cittadinanza comune, si può dare una risposta “epocalista”, che guarda al futuro, o una risposta “essenzialista”, che muove alla ricerca delle radici. Anche l’analisi delle recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo può essere compiuta in questa prospettiva, come il banco di prova della Selbstverständnis dell’opinione pubblica europea riguardo al proprio profilo identitario, nel quale confluiscono, senza poter essere semplicisticamente scisse, tensioni e costanti di lungo periodo che affondano le radici nella storia europea e, allo stesso tempo, istanze di mutamento, aspettative e proiezioni in un futuro da costruire.
E’ interessante valutare pertanto gli scenari degli assetti istituzionali dell’Unione Europea, che si delineano all’indomani del voto del 6 e 7 giugno, in questa cornice, nella quale si compongono i tasselli di una storia travagliata e non scevra di conflitti e quelli di una sfera pubblica europea frammentata, portatrice di domande contraddittorie e percorsa da tensioni acuite da un rapido processo di allargamento.
Un primo elemento di riflessione è offerto dai dati relativi all’affluenza alle urne, che, dopo iniziali segnali di entusiasmo seguiti all’introduzione dell’elezione diretta nel 1979 (62%), sembrano oramai stabilizzarsi dal 2004, nel mutato scenario dell’allargamento, poco al di sopra del 40%, con una ulteriore significativa flessione in quest’ultima consultazione (dal 45,5 al 43.2 %). E’ interessante osservare che il trend della disaffezione dal voto si è manifestato in modo più appariscente nei paesi di più recente acquisizione nell’UE, in alcuni dei quali l’affluenza al voto è rimasta al di sotto del 30% (Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia) ed in quei paesi nei quali esso esprime diffidenze nei confronti dell’Unione da tempo affiorate (il 36,9% dell’Olanda). Esso non ha risparmiato peraltro alcuni dei “soci fondatori” (il 40,5% della Francia e il 43,3% della Germania), così come paesi che giocano un ruolo decisivo, benché sofferto, negli equilibri politici dell’Unione (il 34,5% del Regno Unito), distribuendosi in modo generalizzato, e con limitate eccezioni (Belgio e Lussemburgo), in tutta l’area geografica dell’Unione, ed investendo anche i paesi dell’Europa mediterranea, tradizionalmente caratterizzati da percentuali più elevate di partecipazione elettorale.
(segue)
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