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NUMERO 2 - 22/01/2020

''La Corte si apre all’ascolto della società civile''

Le modifiche delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deliberate l’8 gennaio 2020, introducono novità importanti nel processo costituzionale. Si tratta di innovazioni differenti (l’introduzione della figura dell’ amicus curiae, la previsione di istruttorie aperte ad esperti, l’ampliamento dell’intervento nel giudizio incidentale), le quali richiedono di essere singolarmente apprezzate, ma sono mosse dichiaratamente da un’ispirazione di fondo comune, l’apertura della Corte costituzionale “all’ascolto della società civile”, come recita il comunicato della Consulta. La prassi applicativa e la giurisprudenza consentiranno di valutare nei dettagli i profili processuali delle innovazioni introdotte. Qui mi limiterò ad alcune primissime considerazioni di sistema, sull’impatto delle modifiche deliberate sul ruolo della Corte costituzionale nello spazio pubblico, le quali sembrano raccogliere la sfida del rapporto fra giustizia costituzionale e pluralismo sociale. In alcune pagine illuminanti della  Démocratie en Amérique, Alexis de Tocqueville osservava che, negli stati nei quali la sovranità non si presenta monolitica, ma “divisa”, i giudici hanno “di fronte a sé non un individuo isolato, ma una frazione della nazione”, e che la loro “forza morale” e la loro “forza materiale” sono pertanto “assai meno grandi”. E concludeva che “in nessun luogo è tanto necessario costituire fortemente il potere giudiziario come presso i popoli confederati, perché in nessun luogo le esistenze individuali capaci di lottare contro il corpo sociale sono più grandi e più atte a resistere all’impiego della forza materiale del governo”. Certo, il problema di Tocqueville era quello di riuscire ad assicurare la “forza irresistibile della giustizia” in un ordinamento federale, ma la forte dimensione comunitaria e repubblicana del federalismo statunitense, costituito non da “stati” ma da “popoli confederati”, carica le pagine tocquevilliane di una forte valenza comprensiva, ed il richiamo alla necessità di rafforzare il potere giudiziario federale, ed in particolare il ruolo di una Corte suprema investita del judicial review of the legislation, va al cuore del rapporto tra giustizia costituzionale e pluralismo sociale. Né è casuale che già il Federalist n. 78 , delineando i tratti essenziali del judicial review in una prospettiva assai più comprensiva, destinata a trascendere la fondazione del federalizing process statunitense, ne riponesse il significato peculiare nella esigenza di assicurare la supremazia della costituzione negli estesi (e pluralistici) spazi repubblicani della federazione. E’ noto quanto il radicamento del judicial review nella ricerca dei difficili equilibri di una res publica pluralista abbia consentito alla Corte suprema statunitense di confrontarsi con la società civile, e spesso di dare voce a istanze minoritarie e di dissenso. Ma ciò è stato reso possibile da un attaccamento e da una pratica orgogliosi del monito dei Federalist Papers, secondo il quale solo “la fermezza e l’indipendenza” della Corte avrebbero fatto di essa non solo “un elemento indispensabile della sua Costituzione”, ma “addirittura quasi la cittadella della giustizia e della sicurezza di tutti”. Può forse sembrare azzardato il parallelo dal quale queste considerazioni prendono le mosse, e non trascuro che il legame tra judicial review e pluralismo sociale ha radici profonde, e peculiari, nella tradizione di un diritto a formazione giurisprudenziale, in un’ “etica del giudizio”, la cui razionalità scaturisce da “modalità espressive, necessariamente radicate nei fenomeni sociali”. Né trascuro che le contaminazioni tra modello accentrato e modello diffuso, pur riscontrabili in un ampio scenario di comparazione costituzionale, non consentono di rimuovere profonde ragioni storico-culturali di divaricazione. Osservo peraltro che le stesse esperienze del controllo accentrato si sono allontanate dall’originaria teorizzazione kelseniana della garanzia della “regolarità” della disposizione gradualistica dell’ordinamento costruita su basi rigorosamente formali, e che lo stato costituzionale di democrazia pluralistica tende ad indirizzare la giustizia costituzionale verso canoni  argomentativi capaci di impiantare l’interpretazione costituzionale in un Gemeinwohl repubblicano e nella ricerca di equilibri, spesso difficili quando non carichi di antagonismi, nella complessità del tessuto pluralistico. Un’esigenza, a ben vedere, riconosciuta in un passo famoso dallo stesso Kelsen, allorchè questi ammoniva che, se l’essenza della democrazia risiede nel “costante compromesso” tra gruppi contrapposti, e quindi “nella pace sociale”, la giustizia costituzionale appare  “strumento idoneo a realizzare questa idea”… (segue)



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