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di Salvatore Prisco
Una nuova sentenza della Corte Costituzionale sull'esercizio delle libertà politiche da parte dei magistrati
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La breve sentenza che si commenta “a prima lettura” ha un rilievo inversamente proporzionale all’estensione scarna della sua parte motiva, che ribadisce peraltro principî da tempo enunciati dalla stessa Corte Costituzionale, a partire dal leading case costituito - in materia - dal proprio precedente in termini, recante il n. 100/1981 e in essa esplicitamente richiamato, attraverso la citazione testuale di espressioni che ne sono tratte.
È tuttavia evidente l’interesse alla riaffermazione attuale di una risalente linea interpretativa circa il corretto bilanciamento tra diritti fondamentali dei singoli magistrati a manifestare pubblicamente la loro soggettività politico-culturale e limiti che agli stessi derivano dall’appartenenza ad un corpo di impiegati pubblici caratterizzato (quanto all’essenza medesima della funzione svolta) dalla sostanza e dall’apparenza dell’imparzialità, che si palesa dunque anche nella necessaria compostezza dei loro comportamenti extrafunzionali.
L’urgenza del riesame critico del problema viene per di più rafforzata, al di là del periodico manifestarsi di episodi di cronaca che spingono ad interrogarsi su quel nesso e che hanno più volte sollecitato la riflessione dottrinale, in passato e ancora di recente (De Nardi), a maggior ragione in presenza di una presa di posizione dell’organo di autogoverno dell’ordine giudiziario di poche settimane fa e che dell’imparzialità del magistrato ha offerto una particolare lettura.
Rispetto alla lontana pronunzia che si richiamava sono d’altronde largamente mutati nel frattempo il tessuto normativo dell’ordinamento giudiziario e il contesto sociale e culturale in cui opera l’azione della magistratura.
Lo sfondo presente è quello delle intense polemiche che investono il sistema politico, che ha - com’è noto - struttura e funzionalità molto diverse dai modi in cui esso si manifestava all’epoca della prima decisione, essendo caratterizzato oggi dalla tendenza ad assumere con decisione un formato bipolare, benché tuttora immaturo e quindi fortemente conflittuale nei rapporti tra i suoi protagonisti (siano essi schierati in campi ideali contrapposti, ovvero all’interno di ciascuno), come anche dalla diffusa e non commendevole abitudine ad attrarre nella polemica contingente la valutazione dell’operato dei titolari di organi di garanzia, ai diversi livelli: dai magistrati ordinari e amministrativi ai componenti delle autorità indipendenti, dal Capo dello Stato ai giudici della Corte Costituzionale.
(segue)
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