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di Marco Armanno
La Corte costituzionale e la disciplina degli enti lirici tra rischi di abuso delle materie trasversali, elusione della sussidiarietà e incerto utilizzo del precedente
La giurisprudenza della Corte costituzionale costituisce uno dei punti di riferimento fondamentali nella comprensione del cammino che la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ha compiuto negli undici anni successivi alla sua entrata in vigore. Su tale punto sembra ormai raccogliersi un consenso quasi unanime da parte della dottrina che, in più occasioni, ha avuto modo di evidenziare il significativo ruolo pretorio della Corte, reso opportuno – se non necessario – dalla scarsa e disomogenea attuazione della stessa da parte del legislatore ordinario, e dalla genetica presenza di alcuni elementi di criticità nel disegno di revisione realizzato nel 2001. L’analisi di talune pronunce del giudice delle leggi appare dunque di particolare interesse, costituendo l’occasione per valutare l’evoluzione di linee interpretative, apparentemente definite, il cui abbandono tuttavia, pur se episodico, potrebbe rappresentare l’indicatore di un significativo mutamento di rotta. Tale circostanza, fisiologicamente connessa alla evoluzione dell’ordinamento, presenta aspetti di particolare rilievo rispetto alla giurisprudenza della Corte costituzionale, in ragione del ruolo e della posizione apicale dell’organo, e induce più in generale a interrogarsi sul modo in cui tali virate (totali o parziali) si realizzino. Più precisamente, come si avrà modo di evidenziare oltre, i profili di maggiore criticità che emergono dalla pronuncia che costituisce lo spunto della presente riflessione riguardano le modalità con cui si realizza lo sviluppo di alcuni orientamenti della Corte, e i possibili effetti che essi sono destinati a produrre sul complessivo sistema dei rapporti tra Stato e Regioni nel “nuovo” assetto costituzionale... (segue)
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