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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 La libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale a prescindere dalla Regione di residenza e i suoi limiti

La «libertà di scelta del luogo di cura», ovvero la libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni da parte degli utenti del Servizio sanitario nazionale, costituisce, prima che un principio affermato nella legislazione statale in materia di tutela della salute, uno specifico aspetto della libertà di cura garantita dall’art. 32 Cost. quale particolare dimensione del diritto fondamentale alla salute. In essa sono distinguibili due profili fondamentali: la libertà di scelta fra operatori pubblici e privati (i quali possono essere legati al SSN da accordi per la remunerazione delle prestazioni erogate o viceversa operare al di fuori dell’organizzazione del SSN); e la libertà di scelta dell’operatore a prescindere dai limiti territoriali, comprendente la libertà di scegliere di fruire delle prestazioni erogate da soggetti aventi sede in una Regione diversa da quella di residenza (presupposto della mobilità sanitaria interregionale) o all’estero (presupposto della mobilità sanitaria internazionale). Le riflessioni esposte in questo contributo hanno come oggetto specifico la libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale a prescindere dalla Regione di residenza del paziente e i suoi limiti, derivanti dall’esigenza di bilanciamento con altri principi e interessi. Soltanto in tempi recenti questo profilo della «libertà di scelta» è stato esaminato nella giurisprudenza costituzionale. Nondimeno, per ragioni collegate alla presente situazione economico-finanziaria, nella quale ancor più che in passato è avvertita l’esigenza di individuare soluzioni organizzative che assicurino la sostenibilità del SSN costituito dall’insieme dei servizi sanitari delle singole Regioni, esso appare destinato ad assumere una rilevanza crescente. In particolare si pone l’esigenza di stabilire se, ed eventualmente a quali condizioni, possano ritenersi costituzionalmente legittime normative regionali, approvate con finalità più o meno esplicitamente dichiarate di contenimento della spesa sanitaria regionale o comunque di «protezione» del sistema sanitario regionale, comportanti, per i residenti nella Regione in cui trovino applicazione, restrizioni della libertà di accedere all’assistenza erogata per conto del SSN da operatori aventi sede in una Regione diversa. Per poter sviluppare un ragionamento compiuto sull’ampiezza della tutela assicurata nell’ordinamento alla libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni assicurate dal SSN a prescindere dalla Regione di residenza, con la finalità principale di individuare un modello di bilanciamento suscettibile di applicazione generalizzata nei futuri giudizi di legittimità costituzionale relativi a discipline comportanti restrizioni di tale libertà introdotte da singole Regioni in danno dei pazienti residenti nei rispettivi territori, risulta tuttavia indispensabile, preliminarmente, ricostruire il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla «libertà di scelta del luogo di cura» intesa nella sua accezione più ampia, comprensiva degli altri profili sopra indicati. In particolare occorre tenere conto della consistente elaborazione che la giurisprudenza costituzionale ha sviluppato con riferimento a ipotesi di limitazione della libertà di scelta fra operatori pubblici e privati e della libertà di accedere all’assistenza prestata all’estero: giurisprudenza la cui comprensione presuppone a sua volta una sintetica descrizione dell’evoluzione della legislazione statale di principio sulla materia. Di seguito si procederà innanzitutto a tale ricostruzione, per poi considerare la soluzione affermata nella sentenza n. 236/2012, che merita qui speciale attenzione in quanto costituisce il primo e ad oggi unico esempio di pronuncia della Corte costituzionale riferita a una disciplina regionale restrittiva della libertà dei residenti di avvalersi dell’assistenza sanitaria prestata da operatori extraregionali: ciò consentirà di verificare il grado di coerenza di tale soluzione e delle argomentazioni sulle quali essa è stata fondata rispetto alla giurisprudenza costituzionale precedente, di stabilire se e in quale modo le peculiarità del caso esaminato abbiano influito sulla decisione, e ancora l’effettiva portata di quest’ultima. In proposito, si può anticipare che per un verso il ragionamento sulla base del quale i giudici della Consulta sono giunti alla soluzione del caso è stato fondato su premesse consuete nella loro pregressa giurisprudenza relativa a discipline, statali e regionali, comportanti la limitazione degli altri profili della «libertà di scelta del luogo di cura», tanto da legittimare la conclusione che la Corte non abbia assegnato rilievo al fatto che la limitazione disposta dal legislatore regionale riguardava un «nuovo», distinto profilo; per altro verso la particolarità della disciplina censurata – riferita esclusivamente a una tipologia di prestazioni per le quali il legislatore statale ha previsto un regime di erogazione specifico – induce a ritenere che la decisione non abbia fornito un modello di giudizio applicabile nella generalità dei casi in cui occorra sindacare la ragionevolezza di una scelta legislativa regionale comportante la limitazione della libertà di scelta dell’operatore sanitario in tutto il territorio nazionale da parte dei residenti. Nella prospettiva dell’individuazione di un simile modello sembra necessario dare risalto sia alla specificità degli interessi che giustificano la tutela del profilo della libertà di scelta qui precipuamente considerato sia alla specificità dei corrispondenti interessi confliggenti. Ciò richiede di considerare in primo luogo la dimensione fattuale e le implicazioni, in specie economiche, del fenomeno della mobilità sanitaria interregionale, reso possibile dal riconoscimento della libertà di scelta dell’erogatore in tutto il territorio nazionale, nonché la sua regolamentazione giuridica, di per sé rivelatrice dei contrapposti interessi bisognosi di contemperamento. La mancanza di decisioni della Corte costituzionale riferite a ipotesi di limitazione della libertà di fruire di prestazioni erogate da operatori aventi sede in una Regione diversa da quella di residenza, fatta eccezione per la sentenza n. 236/2012, e lo scarso rilievo in concreto assegnato alla specificità di tale profilo nelle argomentazioni lì sviluppate inducono a volgere lo sguardo anche verso la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella quale da tempo è stato affrontato il problema di definire i limiti della libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie a prescindere dai confini territoriali, ovvero circoscrivere la pretesa di fruire delle prestazioni erogate da operatori aventi sede in uno Stato membro diverso da quello di residenza con assunzione dei costi da parte del SSN di appartenenza o comunque da parte del sistema di assicurazione del paziente. Sebbene quello dell’UE sia un sistema giuridico peculiare, i cui principi non sono perfettamente sovrapponibili a quelli posti al vertice dell’ordinamento costituzionale italiano, rileva il fatto che la Corte di Lussemburgo ha affermato la necessità di contemperare la c.d. «libera circolazione dei pazienti» all’interno dell’Unione con interessi confliggenti riconosciuti meritevoli di tutela dai Trattati europei, nella sostanza non dissimili da quelli di cui la Corte italiana deve tenere conto nei giudizi di legittimità costituzionale riguardanti discipline incidenti sulla «libertà di scelta» degli utenti del SSN. Risulta perciò possibile ed utile, nella prospettiva indicata, confrontare i criteri ai quali secondo le due Corti deve ispirarsi il bilanciamento fra «libertà di scelta del luogo di cura» e principi antagonisti nei rispettivi ordinamenti, nonché chiedersi, in particolare, se gli stessi principi o esigenze che sono riconosciuti idonei a giustificare discipline nazionali restrittive della libera circolazione dei pazienti all’interno dell’UE possano giustificare discipline regionali restrittive della libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni all’interno del territorio nazionale... (segue)



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