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FOCUS - Comunicazioni, media e nuove tecnologie N. 3 - 28/09/2015

 Il processo di digitalizzazione del sistema radiofonico nazionale e il ruolo del regolatore nella fase di transizione

La radio ha da poco compiuto novanta anni, un lasso temporale incredibilmente lungo per un mezzo di comunicazione basato su tecnologie elettriche ed elettroniche in continua evoluzione ed oggi interessate e travolte dalla rivoluzione digitale. Si tratta di un mezzo che l’avvento della rete non ha mutato nella sua fisionomia essenziale e non ha trascinato nella crisi strutturale che pure ha coinvolto altri settori della comunicazione e dell’intrattenimento. Direi infatti che – nonostante i suoi anni e la sua natura di mezzo di comunicazione elettronico più vetusto – la radio mantiene pressoché intatta la sua centralità, raccogliendo in Italia ogni giorno circa trentacinque milioni di ascoltatori, con una abitudine di ascolto media di oltre tre ore giornaliere. Secondo le cifre fornite dagli operatori del settore, e sulla base degli stessi dati a disposizione dell’Autorità, il sistema radiofonico italiano si presenta come un sistema complessivamente in discreta salute, che ha saputo tenere le proprie posizioni in questo ultimo quinquennio di grave crisi economica e che – pur a fronte della profonda evoluzione che ha interessato in questo ultimo decennio il rapporto cittadini/mass media, e nonostante l’irruzione travolgente di Internet e delle sue innumerevoli applicazioni – resta  un mezzo di comunicazione importante nella vita quotidiana dei cittadini e nella loro dieta mediatica. Qualche decennio fa, nella sua lucida e premonitrice analisi degli effetti della comunicazione sull’evoluzione della società moderna e sul conseguente comportamento degli individui, il sociologo Marshall Mc Luhan, ebbe a definire la radio un “medium caldo”. Ho la sensazione che si tratti di una definizione ancora attuale. La radio, o forse meglio le radio, continuano infatti a suscitare appartenenza, a proporsi come una sorta di clan a cui si decide di aderire, e nei cui format prevalenti – come è accaduto ed accade ad altri media nei loro momenti di maggiore splendore - all’occorrenza riconoscersi. Si tratta di un fenomeno che ha a che fare sia con la territorialità, e dunque con il particolare radicamento delle radio locali; sia con i format ed i contenuti tipicamente radiofonici che hanno fatto la fortuna di molti network nazionali i quali  grazie a determinati brand, specifiche scelte tematiche, particolari modalità di conduzione, sono letteralmente entrati nell’immaginario collettivo e in particolare nella vita quotidiana di quei milioni di cittadini che ogni giorno si spostano in auto e per i quali accendere la radio, una volta al volante, resta il gesto più comune e più inscalfibile anche in tempi di trionfo dei social networks. Medium caldo diceva dunque Mac Luhan, e ancora oggi non è difficile capire perché. La radio ha indubitabilmente i suoi atout: interazione con l’ascoltatore (in questo profondamente anticipatrice delle mode correnti); ricezione in mobilità (altra patente di modernità); una buona dose di fedeltà nell’ascolto, soprattutto ove contrapposta ai tassi abituali dello zapping televisivo; invadenza e pervasività ad un grado moderato, con il piacere dell’ascolto senza l’obbligo della visione. Mobilità, interazione, fidelizzazione. Come notato da molti storici e sociologi della comunicazione la radio – assai più della stampa e della televisione – può essere in tal senso identificata come il vero precursore della Rete e dei social networks. Anche per la radio, come già per l’intero sistema delle comunicazioni, è però giunto il momento di misurarsi senza riserve con le sfide del nuovo contesto tecnologico. Si tratta di un compito che ovviamente chiama in causa la concessionaria del servizio pubblico, le imprese e le associazioni del settore, ed il largo indotto dei produttori di devices (si pensi al ruolo dell’industria automobilistica, per dire solo dell’indotto più importante), ma a cui il regolatore non può evidentemente sottrarre il suo necessario, essenziale contributo, per i profili di competenza. Il salto tecnologico dall’analogico al digitale, che negli anni scorsi Agcom ha già guidato con successo nel settore televisivo, dovrà essere compiuto anche nel settore radiofonico, con un vantaggio essenziale rispetto all’esperienza televisiva: nel settore radiofonico il salto tecnologico non richiede né transizione, nel senso stretto del termine, né switch-off. Allo stato delle regole vigenti la radio potrà diventare digitale senza smettere di essere al tempo stesso analogica. E dunque avendo tutto il tempo necessario per riflettere, nel mentre che avanza il processo di digitalizzazione sulla banda di frequenza ad esso destinata, cosa fare delle risorse attualmente impiegate nei servizi FM... (segue)



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