Il breve contributo che segue ha come sola ambizione di fornire un minimo di chiarezza sugli esiti finali (e sulle conseguenze “a sistema”) del contenzioso giurisdizionale innescato dalla decisione del 2012 del Politecnico di Milano di erogare, a partire dal 2014, i propri corsi di laurea magistrale e di dottorato unicamente in lingua inglese. La vicenda si è infatti conclusa pochi giorni fa, con la pubblicazione della sentenza n. 2018/617 della sezione sesta del Consiglio di Stato. Rinviando, dunque, ad altri scritti per l’esame delle questioni di più ampio respiro che fanno da sfondo alla vicenda (e che non mutano di certo a fronte della pronunzia del Consiglio di Stato qui in esame), vorrei in questa sede concentrare l’attenzione unicamente sulle conseguenze che è dato trarre dalle pronunzie sino a qui intervenute rispetto all’offerta didattica dei nostri Atenei nazionali. L’obiettivo è, dunque, non tanto di fare delle astratte speculazioni sul portato “culturale” della sentenza; quanto, assai più modestamente, di fornire un poco di chiarezza sul quadro giuridico complessivo che ne scaturisce: a fronte del molto clamore mediatico che la sentenza del Consiglio di Stato appena pubblicata ha, paradossalmente, prodotto. Paradossalmente poiché essa non fa - come vedremo - che trarre le conseguenze concrete, rispetto al caso di specie oggetto del suo giudizio d’appello, che necessariamente scaturiscono dall’esigenza di conformarsi all’interpretazione costituzionalmente conforme della norma della legge Gelmini fornita dalla Corte costituzionale con la sua pronunzia dello scorso febbraio 2017. A questo proposito è opportuno infatti tenere a mente sin da ora che, mentre il decisum della sentenza del Consiglio di Stato appena pubblicata si riferisce al solo oggetto specifico del relativo contenzioso, ben diversa è invece la situazione con riguardo alla sentenza interpretativa della Corte costituzionale che è all’origine di quest’ultima pronunzia... (segue)
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