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NUMERO 4 - 14/02/2018

 Cittadinanza e integrazione. L'influenza del diritto comparato sulla disciplina italiana e sulle proposte di riforma

A partire dal 1992, anno di approvazione della l. n. 91/1992, recante “nuove norme sulla cittadinanza”, e fino al 2017, sono stati presentati al Parlamento italiano oltre 150 disegni di legge di modifica della disciplina che regola l’acquisto, la perdita e il riacquisto dello status di cittadino italiano. Soltanto nella XVII legislatura, iniziata nel 2013, i disegni di legge presentati sono stati circa 50, ivi compreso quello approvato in prima lettura alla Camera il 13 ottobre 2015 e decaduto a seguito della mancata approvazione da parte del Senato prima dello scioglimento delle Camere avvenuto il 28 dicembre 2017. La portata e le finalità di queste iniziative sono diverse, ma un elemento senz’altro ricorrente è rappresentato dalla volontà di porre l’attenzione sull’importanza dell’integrazione rispetto alla disciplina della cittadinanza e al suo acquisto da parte degli immigrati di prima e di seconda generazione. I motivi di questa esigenza sono piuttosto evidenti: da un lato, la legge sulla cittadinanza in vigore in Italia, approvata nel 1992, tratta in maniera del tutto retrospettiva il tema del rapporto tra la cittadinanza e i fenomeni migratori, concentrandosi più sulla necessità di mantenere i legami con gli italiani emigrati all’estero piuttosto che rafforzare quelli con i nuovi individui, gli stranieri, gli immigrati, che soggiornano stabilmente nel paese; dall’altro lato, l’Italia ha in pochi decenni rovesciato la sua bilancia migratoria, trasformandosi in un territorio di immigrazione, dopo essere stato per oltre un secolo uno dei principali paesi di emigrazione, soprattutto verso il continente americano. Fin dagli anni successivi all’unità d’Italia si è avvertita l’esigenza di far fronte alla questione migratoria in modo da permettere ai milioni di emigrati di mantenere un legame con la madrepatria: si calcola, infatti, che in circa un secolo di storia abbiano lasciato l’Italia oltre 27 milioni di cittadini. Il numero delle partenze è cresciuto significativamente nei decenni post-unitari e almeno fino alla prima guerra mondiale: si passa dai 108 mila emigrati annui nel 1876 (anno della prima rilevazione ufficiale), ai 300 mila di fine secolo, ai circa 873 mila alla vigilia del conflitto. Le prime norme adottate per regolare l’acquisto, la perdita e il riacquisto della cittadinanza erano contenute nel codice civile del 1865 (artt. 4-15); tuttavia, era emersa fin da subito l’insoddisfazione per tale disciplina e l’incapacità di dare soluzione al tema dell’emigrazione. A tal fine, proprio all’apice dell’emigrazione italiana verso l’estero, il legislatore ha approvato la l. n. 555/1912, che facilitava le possibilità di mantenimento e di riacquisto della cittadinanza per gli espatriati. L’alto numero di emigrati, sebbene sia diminuito negli anni successivi, ha continuato a rendere l’Italia un paese di emigrazione almeno fino al 1973, quando, per la prima volta, il numero degli immigrati in arrivo in Italia ha superato quello degli emigrati in uscita. Il concorso di cause interne ed esterne ha permesso all’Italia, in maniera anomala nel contesto dei paesi dell’Europa mediterranea, di accogliere già in quegli anni un numero importante di immigrati da altri continenti. Nonostante questa evoluzione abbia fatto emergere l’esigenza di adattare e attualizzare la legislazione in materia di cittadinanza, la nuova legge approvata nel 1992 sembra essenzialmente limitarsi alla recezione delle novità introdotte negli ultimi anni in riposta ad alcune sentenze della Corte costituzionale, intervenuta, soprattutto a partire dagli anni settanta, per adeguare la normativa vigente al mutato quadro costituzionale. L’Italia dell’inizio del XXI secolo è un paese di immigrazione: sebbene sia cresciuto, negli ultimi anni, il numero degli emigrati, mentre è diminuito quello degli immigrati, alla fine del 2015 risiedono in Italia oltre 5 milioni di cittadini stranieri, pari all’8,3% della popolazione; di questi, quasi 4 milioni sono cittadini non comunitari. Appare dunque chiaro che la disciplina della cittadinanza, oggi, non può non essere collegata al tema dell’integrazione dei nuovi membri nella società. In questo articolo si tenterà di analizzare il dibattito italiano su questo punto in una prospettiva comparata: dopo aver fatto luce sulla varietà di strumenti e di significati che possono caratterizzare il rapporto tra integrazione e cittadinanza (par. 2), si approfondirà lo stato attuale della normativa italiana (par. 3) e le prospettive di riforma (par. 4) sulla base delle altre esperienze europee; in conclusione, si tenterà di riflettere sull’opportunità di inserire requisiti di integrazione nelle norme sull’acquisto della cittadinanza e sulle problematicità che da tale novità potrebbero derivare (par. 5)... (segue)



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