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NUMERO 4 - 14/02/2018

 Il legislatore nel letto di Procuste delle pensioni: nota a Corte cost. 250/2017

La sentenza n.250/2017 si colloca in quella sofferta giurisprudenza costituzionale che ha visto, in particolare negli ultimi anni, confrontarsi, o forse sarebbe meglio dire scontrarsi, a causa dell’aggravarsi della crisi economico finanziaria, due grandi elementi cardine dello Stato costituzionale: la sostenibilità del bilancio pubblico e la garanzia dei diritti sociali. Nello specifico, questa recente pronuncia di infondatezza della Corte costituzionale può essere considerata il “seguito” della più celebre sentenza n.70/2015, essendosi Palazzo della Consulta trovato, in questa circostanza, a dover giudicare la legittimità costituzionale di due differenti, seppur collegati, interventi legislativi: il comma 483 dell’art.1 della legge n.147 del 2013(legge di stabilità 2014), ma anche, e soprattutto, le modificazioni introdotte dal decreto n.65 del 2015- poi convertito dalla legge n.109 del 2015- ai commi 25 e 25-bis dell’articolo 24 del decreto n.201 del 2011 (cosiddetto decreto Salva-Italia). In seguito, infatti, all’intervento ablatorio della sentenza n. 70/2015 il Governo, dopo soli 21 giorni dal deposito della pronuncia, con il decreto legge n.65 del 2017, si era adoperato, nel dare seguito alla sentenza, prevedendo due interventi sulla rivalutazione automatica delle pensioni, ferma la piena indicizzazione dei trattamenti inferiori al triplo del minimo INPS: il primo, al comma 25, con riferimento ai “rimborsi” scaturiti dal nuovo meccanismo di rivalutazione per gli anni 2012-2013, riconosciuti in misura progressivamente decrescente all’aumentare dell’importo del trattamento pensionistico e con il limite delle pensioni superiori sei volte il minimo; il secondo, invece, al comma 25-bis, interveniva determinando quanto delle percentuali stabilite per gli anni 2012-2013, fosse riconosciuto ai fini della base di calcolo per la rivalutazione automatica per il biennio successivo 2014-2015(20 per cento) e per il 2016(50 per cento): il cosiddetto effetto di “trascinamento”.  Vari sono i motivi di censura presentati dalle quindici ordinanze dei giudici rimettenti, ma il cuore dei quesiti sottoposti alla Corte costituzionale ruota attorno a due macro-questioni: la possibile violazione, con questo successivo intervento del Governo, del giudicato costituzionale ex art.136 Cost. della sentenza n.70/2015 e la conformità a Costituzione del “nuovo” bilanciamento effettuato dal legislatore, alla luce, della, di poco precedente, giurisprudenza di Palazzo della Consulta. È qui che si ritrova il succo della questione di rilievo costituzionale e su questo si cercherà di soffermare l’attenzione. Per svolgere proficuamente, però, questo tentativo di analisi, non si può, prescindere dall’esplicitare una breve premessa metodologica: le due sentenze n.70/2015 e n.250/2017-e volendo anche la loro più diretta antenata n.316/2010- non possono essere separatamente. L’indagine che si proverà a portare avanti in questo commento non è comprensibile, infatti, se non si considerano entrambe le pronunce come, si oserebbe dire, un “combinato disposto”. Non avendo, tuttavia, in questa sede, il tempo di soffermarsi su alcuni profili analizzati dalla Corte-come la palesata violazione, presentata dai ricorrenti, dell’art.117 Cost. in relazione sia al diritto ad un equo processo garantito dall’art.6, paragrafo 1 della CEDU sia all’art.1 del Protocollo addizionale, né degli artt.3, 23, 53 Cost., non avendo riconosciuto, neanche questa volta, natura tributaria al “blocco della perequazione” - si è deciso di concentrarsi su tre aspetti su cui provare a sviluppare delle brevi riflessioni... (segue) 



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