
Le ragioni di questo incontro sono da ricondurre alla necessità di riflettere, in termini di puro diritto costituzionale, sulle regole per l’attribuzione dell’incarico di formare il governo da parte del Presidente della Repubblica qualora, all’indomani delle elezioni del prossimo 4 marzo, non dovesse prospettarsi una chiara maggioranza parlamentare sulla base dell’offerta politica (essenzialmente tripolare) proposta agli elettori. In tale evenienza sarebbero due sole le strade possibili: o un governo di minoranza (ovvero, se preferite, un governo di maggioranza relativa) o l’articolazione di una coalizione di governo più ampia o del tutto nuova rispetto alle alternative sottoposte agli elettori. Nella prima ipotesi, la principale lista o coalizione di liste presentatesi alle elezioni (o, per meglio dire, i corrispondenti gruppi parlamentari) dovrebbero fornire indicazioni utili per l’individuazione di una personalità in grado di aggregare un più ampio consenso o, quantomeno, un non-dissenso preventivo intorno a un governo che abbia un mandato a svolgere alcuni punti programmatici da approvare compiutamente in Parlamento; nella seconda ipotesi, invece, si riarticolerebbe una coalizione di governo che, scomponendo e ricomponendo diversamente le liste o le coalizioni di liste presentatesi al giudizio diretto degli elettori, ambirebbe a costruire, con l’intermediazione decisiva del Presidente della Repubblica, una vera maggioranza parlamentare, con una corrispondente formula di governo, da formare post votum come grande coalizione o, se necessario, persino come governo del presidente. Entrambe queste ipotesi incontrano però dei concreti ostacoli. Il governo di minoranza sconta la difficoltà, già nota, di dover ottenere un voto di fiducia iniziale dalla maggioranza delle due camere ex art. 94 Cost. (ragion per cui la maggioranza parlamentare o sarà più ampia di quella di governo o sarà solo relativa, grazie a una riproposizione di un governo delle astensioni); mentre il governo di grande coalizione sconta la difficoltà - se non nuova, adesso però senz’altro molto accresciuta - di dover scomporre le coalizioni presentatesi agli elettori congiuntamente e che congiuntamente ne hanno ottenuto i voti. Con la nuova legge elettorale Rosato, infatti, è stato introdotto, per la prima volta, il voto di coalizione nella legislazione elettorale delle camere. Qualora l’elettore, cioè, oltre al voto personalizzato nel collegio uninominale non esprima anche un esplicito voto per una delle liste collegate ma concorrenti nel collegio plurinominale, otterrà il tacito e automatico trascinamento del suo personale suffragio anche a beneficio dell’insieme di queste liste (da frazionare e attribuire pro quota in ragione della consistenza proporzionale da esse ottenuta sulla base dei voti di lista effettivamente espressi dagli altri elettori della coalizione nell’ambito della medesima circoscrizione territoriale uninominale). Per fare un esempio: fatta pari a cento la cifra complessiva dei voti espressi ottenuti da una determinata coalizione nell’ambito territoriale di un dato collegio uninominale, se questa fosse formata da tre liste e le prime due avessero ottenuto quaranta voti e la terza venti, il voto implicito di coalizione del singolo elettore sarebbe attribuito, ai fini del riparto dei seggi nel collegio plurinominale, nella misura dello zero virgola quaranta alla prima e alla seconda lista e nella misura dello zero virgola venti alla terza lista. A questo voto di coalizione implicito ma certo, che abbiamo appena descritto, si può aggiungere, inoltre, la previsione anche di un voto di coalizione implicito ma solo condizionale: la legge Rosato prescrive, infatti, che qualora l’elettore abbia votato una lista che abbia ottenuto meno del tre per cento dei voti validi a livello nazionale, ma più dell’uno per cento, il suo voto di lista sia trasferito ex lege alle altre liste della medesima coalizione che abbiano superato l’indicata soglia di sbarramento (in ragione della loro rispettiva consistenza proporzionale)... (segue)
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