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Per quanto l’assunto possa apparire controintuitivo, forse quello attuale è momento particolarmente favorevole a discutere delle regole sull’incarico. L’assunto sembra controintuitivo, perché, guardando oggi alla disarticolazione di ogni assetto pregresso del contesto partitico e all’impossibilità di fare serie previsioni quanto ad assetti futuri, il riflesso più plausibile sarebbe preconizzare che, nel conferimento dell’incarico, il Presidente della Repubblica risulterà sciolto da ogni vincolo, destinato a navigare a vista nella corrente delle relazioni tra gli attori politici, nel tentativo di dominare una situazione eccezionale per fluidità e forse anche per provvisorietà. Insomma, a operare senza regole, creando il criterio adatto al caso; criterio a sua volta non destinato a consolidarsi in regola, poiché uno degli scopi da assegnare al nuovo Governo – l’unico, secondo le previsioni più pessimistiche – potrebbe essere proprio quello di modificare il quadro normativo, segnatamente di intervenire sulla legge elettorale, in modo da non determinare mai più in futuro una tale tensione sull’efficienza della relazione fiduciaria e, più complessivamente, sulla tenuta della forma di governo. Sicché discorrere oggi di regole sull’incarico sarebbe una pedante esercitazione astratta. E invece, da un punto di vista giuridico-costituzionale, il richiamo al quadro teorico e alla ricostruzione dommatica delle regole sull’incarico appare utile, forse necessario, se si scommette sulla vitalità del sistema, sulla capacità di assorbimento e sulla forza deontica di quell’elastico tessuto di disposizioni apprestato, nella Parte Seconda della Costituzione, dalla prima Sezione del Titolo III: mai posto rimedio attraverso la disciplina legislativa della relazione fiduciaria, secondo il programma e l’auspicio contenuto nell’ordine del giorno Perassi, approvato il 5 Settembre 1946 dalla Seconda Sottocommissione dell’Assemblea Costituente, alle «degenerazioni del parlamentarismo», queste sono state tuttavia contenute, attenuate, a tratti perfino contrastate con qualche non trascurabile successo, attraverso altre regole, prodotte nel contesto partitico e destinate a conformare i comportamenti dei soggetti in esso operanti. A tali regole occorre ora guardare con rinnovata attenzione – e con qualche fiducia nella forza della razionalità giuridica – mentre un altro scenario di «degenerazioni del parlamentarismo» si prospetta innanzi agli attori politici. Uno scenario che ha questo di nuovo: esplorate le estreme risorse del sistema, la inefficienza della relazione fiduciaria, in un quadro di drastica perdita di responsività delle istituzioni del sistema parlamentare, potrebbe minare la forma di Stato. Di un tale esito – certo non necessitato, ma non evitabile senza misure adeguate – si leggono i prodromi nella personalizzazione delle leadership dei partiti, nel populismo delle classi dirigenti (più dissolutivo di quello degli aspiranti al potere), nella crescente opacità del circuito della rappresentanza, nella traslazione di molte decisioni al di fuori di questo. V’è perciò un’esigenza di conservazione del sistema che conduce a pretendere regole sulla struttura e sul funzionamento della forma di governo parlamentare: tra queste, regole sull’incarico, essendo divenuta la fase della formazione del Governo, per ragioni legate ai connotati che il sistema partitico è venuto assumendo, più incerta e aperta a diversi esiti di quanto sia mai stata nella vicenda repubblicana... (segue)
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