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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 La cura dell'incapace tra volontà del paziente, istituti di tutela ed organizzazione del servizio sanitario

La tutela dei soggetti deboli e il rispetto della loro dignità assumono una fisionomia particolare allorché si ponga in concreto l’esigenza di rispettare il loro volere nell’accettazione o nel rifiuto di un trattamento sanitario. È in questo delicato e centrale aspetto del diritto alla salute (art. 32 Cost.) che risiede e si misura il valore della persona in un ordinamento giuridico, sicché la cura del soggetto incapace costituisce uno dei banchi di prova più difficili per saggiare non solo il carattere effettivo dei diritti fondamentali e degli istituti della tutela, della curatela e dell’amministrazione di sostegno, introdotta dalla l. n. 6 del 2004, ma anche il livello essenziale dell’assistenza sanitaria nello Stato sociale di diritto. Nel nostro ordinamento questo cruciale problema ha avuto, di recente, un punto di svolta nell’approvazione della l. n. 219 del 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, di cui si dirà successivamente, che ha riconosciuto la validità delle disposizioni anticipate di trattamento espresse, secondo determinate condizioni, anche da parte del paziente incapace (art. 3). Ma la previsione normativa della nuova legge costituisce, come è evidente, solo l’ultimo capitolo di un lunghissimo, tormentato e non di rado doloroso percorso, che nel nostro ordinamento – non meno che in altri ordinamenti, europei ed extraeuropei – ha conosciuto alterne vicende, tra chiusure ostili e preconcette al riconoscimento dei diritti del disabile, fatto oggetto di un vero e proprio “stigma” da parte dei soggetti e delle istituzioni preposti alla loro cura, e fughe in avanti da parte di alcune pronunce giurisprudenziali, che hanno aperto la strada al riconoscimento delle istanze più profonde dell’incapace, avvertite come un imperativo non più rinviabile dalla coscienza sociale e successivamente recepite dalle singole legislazioni nazionali. È noto che la prima questione che occorre affrontare in questa materia è il rispetto della volontà manifestata dal paziente incapace, che deve essere aiutato, nei limiti in cui lo consentono le condizioni della sua patologia, ad adottare una scelta che sia conforme alla sua personalità e alla sua dignità, senza subire coartazioni né dal soggetto, tutore, che ne ha la cura (art. 357 c.c.), né dal curatore o dall’amministratore di sostegno e, più in generale, di chi provvede alla sua assistenza o alla sua legale rappresentanza, né dal medico, che deve occuparsi della sua salute. La ricostruzione di questa volontà, che riposa sul consenso informato, deve aiutare il paziente, anzitutto quello incapace, ad essere e a sperimentare se stesso nella malattia, secondo la sua incoercibile visione della vita, e a confrontarsi con le decisioni da prendere sulla sua salute in base all’elaborazione di una propria personalità, autonoma, libera e consapevole, che lo veda e lo riconosca quale soggetto e non come oggetto di cura. La reificazione del corpo del paziente disabile o incapace, lo stigma della sua diversità, qualificata e trattata come devianza, la sua segregazione entro le cc.dd. istituzioni totali ispirate, al di là dell’apparente finalità curativa, ad una ideologia custodialista e “asilare”, il suo completo assoggettamento, da un lato, alle decisioni del legale rappresentante e, dall’altro, del medico, in nome del c.d. paternalismo medico, sono tutte realtà, ben note anche nel nostro ordinamento in un passato non lontano, che via via cedono il passo ad una visione nuova della sua dignità, in una dimensione del diritto alla salute ormai orientata al rispetto di irrinunciabili valori costituzionali e sovranazionali e nel rispetto, anzitutto e sempre, della sua dignità affinché egli venga aiutato ad essere se stesso in rapporto agli altri. Gioca un essenziale ruolo in questo riconoscimento l’adozione del c.d. modello sociale della disabilità, fatto proprio nel 2006 anche dalle Nazioni Unite nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, alla stregua del quale la disabilità si contraddistingue per una dinamica relazionale caratterizzata non già, come tradizionalmente si era sempre ritenuto, dalla condizione di minorità fisica o psichica dell’incapace, bensì dall’incapacità, da parte del tessuto sociale, di includere il soggetto… (segue)



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