Con la sentenza n. 275 del dicembre 2017, la Corte costituzionale ha avuto una nuova occasione per esaminare la disciplina legislativa in tema di stranieri. È innegabile lo sforzo fatto dal giudice delle leggi in questa materia: nonostante gli scarsi riferimenti testuali alle posizioni giuridiche soggettive degli stranieri nella Costituzione, la Corte è riuscita negli anni a delineare una consistente serie di diritti degli stranieri, portando al superamento del binomio cittadinanza – accesso ai diritti fondamentali. Nonostante ciò, è stato osservato che dinanzi a questioni particolarmente complesse e politicamente scottanti, legate a un fenomeno che si sta rivelando sempre più controverso nelle società occidentali come quello dell’immigrazione, la Corte ha spesso fatto un passo indietro, cercando soluzioni che le permettessero di non entrare nel merito. La sentenza in commento pare in linea con questo atteggiamento. Il tema affrontato è quello del respingimento differito, regolato dall’art. 10, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (d’ora in avanti T.U. immigrazione): la Corte, pur riconoscendo la necessità di un intervento del legislatore, a cui ha indirizzato un monito, dichiara però inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, per difetto di rilevanza. Il tema è di grande importanza; nel 2015 sono stati effettuati 8.736 respingimenti alla frontiera e 1.345 respingimenti differiti, a fronte di 2.529 stranieri accompagnati alla frontiera a seguito di provvedimento amministrativo di espulsione. Il contenzioso dinanzi al Tribunale di Palermo era nato per il tentativo di un cittadino pakistano di ottenere l’annullamento del decreto di respingimento differito dal quale era stato colpito dopo essere entrato irregolarmente in Italia, identificato in un hotspot a Trapani e classificato come migrante economico. Sia l’attore che il giudice a quo avevano ritenuto la disciplina legislativa del respingimento differito non conforme a Costituzione, in quanto l’articolo 10, comma 2, T.U. immigrazione sarebbe in contrasto con gli articoli 10, comma 2, 13, commi 2 e 3 e 117, comma 1 Cost. A sostenere la legittimità della norma, nel giudizio dinanzi alla Corte era intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, affermando che la regolamentazione dell’ingresso e della permanenza di un non cittadino sul territorio implica una valutazione di molteplici interessi pubblici, e che per questo deve essere riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità. Un atto di intervento, a sostegno dell’illegittimità costituzionale, era stato presentato da una associazione, l’ASGI (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), chiedendo di essere ammessa ad intervenire in giudizio in quanto «titolare di un interesse qualificato direttamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio». Tuttavia la Corte ha ritenuto l’intervento inammissibile, in linea con la sua precedente giurisprudenza. È stata dunque confermata l’interpretazione rigida e ristretta dell’interesse che un terzo ha in un giudizio e che giustifica il suo intervento, mostrando ancora una volta un atteggiamento di chiusura ad un dialogo potenzialmente utile con soggetti portatori di interessi collettivi, specie in questioni come quelle dell’immigrazione, che vedono una grande difficoltà da parte degli stranieri ricorrenti a costituirsi nel processo costituzionale. Il caso in esame non fa eccezione: la parte del giudizio a quo non si è infatti costituita di fronte alla Corte, ciò che spiega perché la questione sia stata trattata in camera di consiglio... (segue)
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