L’attivazione da parte delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna del procedimento di cui all’art. 116, comma 3 della Costituzione, sul cosiddetto regionalismo differenziato, cui anche altre regioni, ad esempio il Piemonte, hanno dichiarato di voler aderire, impone una qualche nuova notazione sul complessivo assetto delle autonomie e sull’assenza di una Camera di rappresentanza territoriale in un sistema bicamerale che ha conservato il suo impianto paritario. Nello scenario delle “regioni specializzabili”, allocate peraltro in una parte geografica d’Italia, e al di là dei pericoli che, nei termini di garanzia dei principi di unità e indivisibilità, di solidarietà e “eguaglianza territoriale”, possono comportare le dinamiche accentuative delle differenze regionali nel riparto delle competenze legislative, con possibili riflessi sulla garanzia omogenea dei diritti su tutto il territorio nazionale, non può non tornare d’attualità anche la vexata quaestio della seconda Camera in Italia. Un rinnovato Senato delle autonomie, o delle regioni o, comunque, denominato, teso a delineare una seconda Camera in cui fare emergere le istanze dei territori, appare costituire la sede costituzionale appropriata per armonizzare in un quadro unitario le differenziazioni, in termini di autonomia, che saranno riconosciute a conclusione del procedimento ex articolo 116, terzo comma della Costituzione. Una riforma della Camera alta dovrebbe garantire che i nuovi livelli di autonomia, nel gratificare la virtuosità finanziaria e amministrativa di taluni territori – e con tutti i problemi connessi ad un tale accertamento – non abbiano però la conseguenza di ledere l’eguaglianza dei cittadini, in ragione dell’appartenenza territoriale, nel godimento dei diritti fondamentali. Com’è ben noto, l’articolo 3 della nostra Carta costituzionale enuclea non solo il principio di eguaglianza orizzontale tra tutti i cittadini della Repubblica, ma anche quello di tipo verticale nel senso di non ammettere discriminazioni tra cittadini di regioni diverse. Tale pericolo è paventabile nel contesto italiano per le sensibili differenze economiche esistenti tra le regioni, ciò soprattutto per la diversa ricchezza prodotta dai territori. In questo scenario – oggi ancora più problematicamente aperto a nuove evoluzioni con l’attivazione dell’articolo 116, comma 3 Cost. – sembra non perdere di attualità, anzi rafforzarsi, il tema di una seconda Camera capace di accogliere le istanze differenti dei territori, per poi convertirle in una dimensione unitaria nel nome del principio di solidarietà prescritto dall’articolo 2 della Costituzione. Si tratta di tenere insieme le ragioni, laddove legittime, della diversità nell’ambito di un’unità di sistema, che va preservata e ancor più difesa nelle logiche di uno Stato composto che diviene asimmetrico. Il paradigma europeo di regionalismo differenziato, cioè il modello spagnolo, in cui il Senado per le sue carenze strutturali non è mai riuscito a rappresentare gli interessi territoriali, nonostante il diverso disposto dell’art. 69.1 della Costituzione di quel Paese, dovrebbe rappresentare un chiaro monito. Ancor più, dal punto di vista di un ordinamento costituzionale come il nostro, in cui i Padri costituenti si erano invece ben guardati dall’inserire meccanismi di asimmetria e di competitività nel disegnare le nuove regioni, al di là del riconoscimento per le note ragioni storiche e culturali di quelle a statuto speciale. Un monito ancor più di attualità oggi alla luce delle vicende politiche e istituzionali, che hanno investito un sistema autonomico fortemente asimmetrico, come quello spagnolo, culminate con le istanze di secessione della Catalogna. Appare condivisibile e anzi quasi uno scenario necessitato, al di là del richiamo all’attivazione del terzo comma dell’articolo 116, quello di immaginare, sul piano di una nuova stagione delle riforme, un Senato che interrompa il bicameralismo paritario, ma è bene conservare piena consapevolezza della delicatezza di temi che vanno a innestare nel sistema costituzionale nuove dinamiche che incidono al contempo sulla forma di Stato e di governo. Da tempo in Italia si dibatte, ancor più a partire in particolare dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, sulla necessità di ridisegnare il sistema bicamerale italiano, nella direzione di una differenziazione di compiti e composizione a favore di una seconda Camera, diversamente immaginata, slegata dal rapporto fiduciario, con una precipua e propria funzione di rappresentanza territoriale. Una scelta, finanche declinata come necessaria nell’assetto raggiunto della forma di Stato “composto”, già realizzato in Italia… (segue)
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