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NUMERO 17 - 18/09/2019

 Fra ipocrisia organizzata e allargamento strategico: l'Unione europea, i Balcani occidentali e alcune prospettive di crisi dello stato di diritto

Nel discorso sullo stato dell’Unione del 2017, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato che, ove intenda conseguire maggiore stabilità per se stessa e i propri Stati, l’Unione europea (UE) non potrà esimersi dal mantenere “prospettive di allargamento credibili per i Balcani occidentali”. A distanza di pochi mesi, la Commissione ha pubblicato una comunicazione, nella quale ha preconizzato l’ingresso di nuovi Stati nell’UE entro il 2025, riconoscendo che i negoziati per l’adesione del Montenegro e della Serbia erano stati positivamente avviati, che avrebbe raccomandato l’avvio delle trattative a tal fine rilevanti con l’Albania e la Macedonia e che, col tempo e i dovuti sforzi, anche la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo avrebbero potuto aspirare a far parte dell’Unione. Si tratta, di certo, di una tappa fondamentale nell’ambito di un processo iniziato molto tempo prima. Infatti, le discussioni quanto all’ingresso di questi Stati nell’UE risalgono almeno alla fine degli anni Novanta, quando fu avviato il processo di stabilizzazione e associazione, da intendersi quale approccio regionale mirante a favorire l’integrazione dell’area balcanica nel contesto dell’Unione. Propriamente, attraverso la conclusione e l’implementazione di trattati internazionali denominati accordi di stabilizzazione e associazione (nel prosieguo, ASA), conclusi tra le Comunità europee, prima, l’Unione europea, poi, e gli Stati balcanici, si è cercato di favorire un allineamento progressivo del contesto politico, economico e giuridico proprio di tali realtà agli standard dell’Europa unita… (segue)



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