Con l’avvio della XVIII legislatura è entrato nel vivo il processo che dovrebbe condurre ad una prima attuazione del regime di autonomia regionale differenziata previsto dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione dopo quasi venti anni dalla sua introduzione con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001. A seguito della sottoscrizione, sul finire della precedente legislatura, di alcuni accordi preliminari con le regioni Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, la stipula delle intese previste dalla richiamata disposizione costituzionale ed i successi adempimenti finalizzati all’approvazione delle leggi rinforzate che dovrebbero approvarne i contenuti costituivano, infatti, un preciso impegno del programma del Governo rimasto in carica nel primo anno di legislatura e figura anche tra i punti programmatici del nuovo Governo insediatosi in esito alla crisi dell’estate 2019. Si tratta, come è stato diffusamente osservato in più sedi, di un passaggio di indubbia delicatezza costituzionale dal momento che la messa a regime di forme e condizioni particolari di autonomia, se da un lato può costituire una efficace risposta alle esigenze di differenziazione dei livelli di autonomia dei diversi territori, dall’altro può aprire la strada verso una più generale riarticolazione del complessivo sistema delle autonomie regionali con effetti non compiutamente preventivabili sul piano degli equilibri nei rapporti tra Stato e regioni, della necessaria conciliazione tra esigenze unitarie e istanze territoriali, della salvaguardia di un modello di regionalismo in cui la logica cooperativa, a garanzia dell’unità della Repubblica, resti prevalente su quella competitiva e, in definitiva, della stessa fisionomia della forma di Stato. Ma al di là delle problematiche concernenti l’impatto di medio-lungo periodo dell’autonomia differenziata nel nostro sistema delle autonomie regionali, una più immediata ragione di interesse – che costituisce l’oggetto delle presenti osservazioni – risiede nella valutazione della natura della legge rinforzata prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione quale atto conclusivo del procedimento di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia e nel connesso problema della delimitazione degli spazi di intervento sostanziale riservati alle Camere nella definizione dei nuovi assetti di autonomia differenziata da riconoscere alle regioni che ne hanno fatto richiesta, nonché nell’apprezzamento delle ricadute che tale devoluzione di competenze può comportare sulle funzioni dello Stato poste a presidio dell’unità giuridica ed economica dell’ordinamento e sulle restanti regioni. Come si cercherà di illustrare più avanti, il nodo di fondo è rappresentato dalla questione, di non facile soluzione, della estensione e delle modalità di esercizio dei poteri parlamentari di esame delle intese tra Governo e regioni. Profili, questi, in merito ai quali l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione fornisce le sole indicazioni secondo cui la legge con cui sono concesse le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” deve essere approvata dalle Camere “a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”, e ciò in assenza – e questo è il dato che maggiormente ostacola l’individuazione di una soluzione condivisa – di una disciplina speciale nei regolamenti parlamentari per l’iter di esame e approvazione del relativo disegno di legge. Con la conseguenza – va osservato – che il silenzio dei regolamenti parlamentari in materia può, alternativamente, prestarsi ad interpretazioni divergenti quando non addirittura opposte, potendosene ricavare tanto l’argomento secondo cui la mancata previsione di una procedura di esame particolare (salva la previsione del quorum deliberativo della maggioranza assoluta) autorizzerebbe a ritenere tout court applicabile la disciplina ordinaria per l’esame in sede referente (trattandosi certamente di una legge coperta dalla riserva di legge di Assemblea), quanto quello secondo cui i tratti di assoluta novità e la mancanza di precedenti utilmente invocabili legittimerebbero invece la definizione in via di prassi, ad opera degli organi parlamentari a ciò preposti, di una inedita procedura di esame che ben potrebbe derogare ad alcune delle regole del procedimento legislativo ordinario.Per ragioni di brevità, si darà comunque per acquisito il generale consenso circa la necessità che le Camere vengano coinvolte nell’esame delle singole intese sul regionalismo differenziato in forme tali da non ridurne il ruolo al solo compito di operare una scelta binaria tra approvazione e reiezione dei disegni di legge del Governo che le recepiranno. Per tale ragione, nel prosieguo del presente scritto ci si soffermerà sull’analisi dei possibili scenari procedurali che possono essere immaginati al fine di assicurare una effettiva (e non meramente ratificatoria) partecipazione delle Camere alla definizione dei contenuti delle intese, idonei a garantire margini di concreta centralità parlamentare nella elaborazione quanto meno delle soluzioni di natura organizzativa, procedimentale e finanziaria utili a consentire un equilibrato innesto delle nuove autonomie differenziate all’interno dell’ordinamento, in coerenza con i valori costituzionali che rilevano in materia. Si darà altresì per superato l’argomento di tipo analogico, già avanzato in dottrina e utilizzato nello stesso dibattito politico, in base al quale alle leggi rinforzate di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione andrebbe riservato un regime procedurale identico a quello delle leggi approvative delle intese con le confessioni religiose acattoliche di cui all’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e ciò in considerazione delle profonde differenze che intercorrono tra le due fattispecie. Differenze che, a tacer d’altro, appaiono evidenti anche solo sulla base di una interpretazione sistematica del dettato costituzionale che non si limiti a scorgere le apparenti somiglianze procedurali tra i due procedimenti ma ne apprezzi il rispettivo fondamento costituzionale di diritto positivo. In quest’ottica, merita infatti di essere valorizzato il dato secondo cui le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” di cui all’articolo 116, terzo comma, formano oggetto di un atto di riconoscimento compiuto, su richiesta della regione interessata, dallo Stato, il quale, senza esservi obbligato, decide di accedere alla richiesta di ampliamento dell’autonomia formulata da una Regione e vi accede con una manifestazione di volontà assistita da un regime rinforzato di approvazione parlamentare, la cui natura di atto costitutivo delle nuove condizioni di autonomia (non, dunque, meramente dichiarativo delle medesime) si rispecchia nella natura complessa e duale del procedimento (fondato sull’intesa e sulla successiva legge rinforzata) con il quale sono concesse le ulteriori forme di autonomia. In ciò risiede, appunto, la fondamentale differenza della legge ex articolo 116, terzo comma, rispetto alle leggi che approvano le intese con le confessioni acattoliche, alle quali è pacificamente riconosciuta la natura di leggi che operano il riconoscimento di una condizione di preesistente autonomia di una formazione sociale (in ossequio al principio della libertà delle confessioni religiose davanti alla legge sancito dal primo comma dell’articolo 8 della Costituzione) di cui, con deliberazione legislativa di carattere dichiarativo e non costitutivo, le Camere si limitano a prendere atto nelle forme dell’intesa ratificata con legge, nel rispetto del principio supremo dettato dall’articolo 2 della Costituzione… (segue)
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