La misura della c.d. pensione di inabilità deve essere adeguata al soddisfacimento delle esigenze primarie di vita.
Area Disabilità
Corte cost., sent. 22 luglio 2020, n. 152
Pres. Cartabia – Est. Morelli.
Disabile – Pensione di inabilità lavorativa – Inadeguatezza dell’importo – Art. 12, comma 1, l. n. 118/1971 – Questione di legittimità costituzionale – Discrezionalità legislativa – Inammissibilità della questione.
Disabile – Pensione di inabilità lavorativa – Inadeguatezza dell’importo incrementato – Art. 38, comma 4, l. n. 448/2001 – Requisito anagrafico di sessanta anni – Irragionevolezza – Principio di uguaglianza – Questione di legittimità costituzionale –– Fondatezza della questione.
Nonostante l’importo della pensione di inabilità (ex art. 12, comma 1 della l. n. 118/1971) sia manifestamente inadeguato rispetto all’esigenza di garantire i mezzi necessari per vivere, la Corte non può rideterminare tale importo in via diretta e autonoma, trattandosi di un intervento manipolativo che invade l’ambito di discrezionalità del legislatore e, conseguentemente, rende inammissibile la relativa questione di legittimità costituzionale.
L’art. 38, comma 4 della l. n. 448/2001, contrasta con gli artt. 3 e 38, comma 1, Cost., laddove, con riferimento agli invalidi civili totali, subordina la possibilità di ottenere il c.d. incremento pensionistico alla sussistenza del requisito anagrafico del raggiungimento dei sessanta anni, anziché ai soggetti di età superiore ai diciotto anni. Il requisito anagrafico di sessant’anni è effettivamente irragionevole poiché le minorazioni psicofisiche comportanti un’invalidità totale non sono diverse nella fase anagrafica compresa tra i diciotto anni (ovvero quando sorge il diritto alla pensione di invalidità) e i cinquantanove, rispetto alla fase che consegue al raggiungimento del sessantesimo anno di età, stante il fatto che la limitazione discende, a monte, da una condizione patologica intrinseca e non dal fisiologico e sopravvenuto invecchiamento.
A.G.P.