Le Sezioni Unite confermano il profilo di self restraint sull’eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo nei confronti del legislatore, negando per di più la valenza del principio di stretta legalità delle pene per le sanzioni ANAC (note a margine della sentenza n. 27770 del 4 dicembre 2020).
Con la sentenza in rassegna le Sezioni Unite confermano il profilo di self restraint sull’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore e “salvano” la sentenza (n. 7271 del 2018) con cui il Consiglio di Stato, equiparando una contestata omissione dichiarativa alla falsa dichiarazione, legittima l’applicazione, anche a tale omissione, della sanzione interdittiva da tutte le gare prevista dall’art. 38, co. 1-ter, dlgs. 163 del 2006 (solo) per la falsa dichiarazione.
Richiamati i rigorosi confini che la propria giurisprudenza ha, per vero da sempre, riconosciuto al sindacato sulla giurisdizione, negando di fatto immancabilmente lo sconfinamento per “creazione normativa” (cfr. M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell'ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in Giustizia insieme, 29 novembre 2020 e ivi ulteriori richiami ai primi commenti sull’ordinanza, cui adde R. Bin, È scoppiata la terza 'guerra tra le Corti'? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in federalismi.it), la Corte di cassazione esclude, anche in questo caso, la ravvisabilità di una siffatta ipotesi di invasione della sfera riservata al legislatore, riportando l’estensione dell’ipotesi sanzionatoria prevista dal citato art. 38 a una mera “operazione ermeneutica”, rientrante come tale nella tradizionale potestas dell’organo giudicante. Rileva in proposito il Collegio che “la sentenza impugnata non si è limitata ad affermare che l'omessa dichiarazione sia equiparabile alla falsa dichiarazione, ma ha svolto una complessa attività di interpretazione della norma in questione, ricordando che «completezza e veridicità della dichiarazione sostitutiva di notorietà sui requisiti per la partecipazione all'evidenza pubblica sono posti a tutela dell'interesse pubblico alla trasparenza e, al tempo stesso, alla semplificazione della procedura di gara». Di conseguenza, ha aggiunto il Consiglio di Stato, «in materia di partecipazione alle gare pubbliche d'appalto, una tale consapevole "omissione" non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo». Ciò in quanto «nelle procedure di evidenza pubblica l'incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell'amministrazione”. Secondo la Suprema Corte, dunque, la decisione impugnata, lungi dal configurare un’ipotesi di “sconfinamento nell’area della discrezionalità legislativa”, sindacabile per “motivi di giurisdizione”, è frutto “come facilmente può vedersi, di un'attività interpretativa complessa, che il giudice amministrativo ha svolto inserendo la disposizione in esame nel contesto della normativa sugli appalti ed attribuendo alla medesima una delle possibili varianti di senso consentite dal testo”.
La sentenza, come detto, si inquadra perfettamente nel rigoroso – e mai derogato – self restraint della Corte di cassazione sull’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nell’ambito del legislatore (di fatto, mai riconosciuto in ormai oltre settant’anni), già confermato dalle stesse Sezioni Unite (cfr. la sentenza n. 24107 del 30 ottobre scorso) anche dopo la recente e dibattutissima ordinanza di rimessione alla CGUE della questione di compatibilità eurounitaria della “prassi interpretativa” che, all’esito della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, nega la riconducibilità ai “motivi di giurisdizione” (anche) delle questioni relative al “rifiuto” (aprioristico e astratto) dei giudici amministrativi di assicurare le condizioni di tutela garantite dal diritto dell’Unione; e dunque, purtroppo, non stupisce.
Stupisce – e, sinceramente, delude – però che la Corte di cassazione, che pure si proclama garante dei diritti e della effettività della tutela, “liquidi” sbrigativamente la questione della “creazione normativa” perfino con riferimento a una sanzione, e lo faccia negando in modo meramente assertivo (“è del tutto improprio il tentativo di paragonare la sanzione che è stata inflitta dall'ANAC nel caso odierno ad una sanzione penale; punto, questo, sul quale non è il caso di dilungarsi ulteriormente”) che la sanzione interdittiva disposta dall’ANAC sia equiparabile alle sanzioni penali e, come tale, soggetta ai principi generali che, anche per pacifica giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenza 21 marzo 2019, n. 63) governano l’applicazione di ogni misura afflittiva, a prescindere dalla sua formale qualificazione: principi che rigorosamente impongono la tassatività e l’irretroattività (anche) delle misure punitive amministrative e, dunque, ostano a ipotesi di interpretazione estensione.
Stupisce – e delude – infine, anche il richiamo all’Adunanza Plenaria n. 16 del 2020 del Consiglio di Stato (su cui si v., per un primo commento, G.A. Giuffrè, G. Strazza, Il rapporto tra le cause di esclusione di cui alle lettere c) e f-bis) dell'art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016: qual è l'ipotesi residuale?, in L’amministrativista.it, 14 settembre 2020; C. Napolitano, La dichiarazione falsa, omessa o reticente secondo l’Adunanza Plenaria (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16), in Giustizia insieme, 8 ottobre 2020) che, in senso opposto a quanto si legge nella sentenza in commento, ha affermato la netta distinzione tra omissione e mendacio commissivo e, per l’effetto, l’inapplicabilità al primo delle conseguenze che il legislatore abbia previsto solo per il secondo.
Cercando dunque di trarre le fila di queste brevissime considerazioni, a dispetto dell’intento garantista con il quale l’ordinanza n. 19598 del 18 settembre ha giustificato il coinvolgimento della Corte di Giustizia nella questione interpretativa dell’art. 111, comma 8, Cost., il percorso delle Sezioni Unite sembra purtroppo ancora lontano dall’offrire agli operatori le garanzie di certezza nella tutela dei diritti che la giurisprudenza amministrativa non sembra sempre in grado di offrire.
Per riferimenti più generali alle problematiche legate agli effetti della ritenuta non veridicità delle dichiarazioni sostitutive di atti e documenti amministrativi sempre più spesso richieste agli amministrati, cfr. M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l'acquisizione d'ufficio in Principi regole dell’azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2020, 3 ed., leggibile anche con il più sintetico titolo Autodichiarazioni e dichiarazione “non veritiera”, in Giustizia insieme, 15 ottobre 2020.
Maria Alessandra Sandulli
Giurisprudenza - Italia - Corte Costituzionale - Ordinamento civile e penale
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