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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Corte Costituzionale, Sentenza n. 171/2022, La Corte costituzionale ribadisce la differenza tra farmacie e parafarmacie: non è incostituzionale che il legislatore consenta solo alle prime la somministrazione di tamponi con rilievo pubblicistico

Corte costituzionale, sent. 8 luglio 2022, n. 171 - Pres. G. Amato - Est. F. Patroni Griffi. Q.l.c. sollevata con ord. TAR Marche, Sez. I, 11 gennaio 2022, n. 7.

Farmacia - Parafarmacia - Somministrazione tamponi solo in farmacia - Irragionevolezza - Non sussiste

Farmacia - Parafarmacia - Somministrazione tamponi solo in farmacia - Violazione art. 41 Cost. - Non sussiste

Farmacia - Svolgimento servizio di pubblico interesse - Capillarità - Parte del Servizio Sanitario Nazionale - Farmacia dei servizi

Parafarmacia - Esercizio commerciale - Somministrazione solo di alcuni farmaci

La sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 2022 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, sollevata con ord. TAR Marche, Sez. I, 11 gennaio 2022, n. 7, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione. In estrema sintesi, il giudizio a quo riguardava la possibilità per le parafarmacie di somministrare i tamponi rapidi anti COVID-19 dando ai risultati un rilievo pubblicistico. A giudizio del TAR, “Le disposizioni censurate – nella parte in cui consentono alle sole farmacie, e non anche alle cosiddette parafarmacie, l’effettuazione dei «test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2» – determinerebbero un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e parafarmacie, limitando inoltre, senza un giustificato motivo, la libertà di iniziativa economica delle seconde, che non potrebbero svolgere un’attività che invece le prime, operanti nello stesso mercato di riferimento, sono abilitate a svolgere”.

La Corte costituzionale ha preliminarmente affermato che “l’esistenza di elementi comuni a farmacie e parafarmacie – e, nel caso di specie, la presenza di farmacisti abilitati presso entrambe – non è tale da mettere in dubbio «che fra i due esercizi permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza» (sentenza n. 216 del 2014) e di violazione del principio di uguaglianza”.

È poi passata a evidenziare le differenze tra farmacie e parafarmacie. Mentre queste ultime “sono esercizi commerciali, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 […], che […]  «possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione […] e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica»”, le farmacie “erogano l’assistenza farmaceutica […], oggi ricompresa tra i livelli essenziali di assistenza ai sensi del d.P.C.m. 12 gennaio 2017 […], e svolgono, dunque, un «servizio di pubblico interesse» (sentenza n. 312 del 1983; analogamente, sentenza n. 29 del 1957), preordinato al fine di «garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista» (sentenza n. 87 del 2006, confermata successivamente, tra le tante, dalla sentenza n. 216 del 2014)”: per la Corte, dunque, i farmacisti titolari di farmacia “sotto il profilo funzionale sono concessionari di un pubblico servizio (sentenza n. 448 del 2006; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 24 novembre 2004, n. 22119)”.

La Corte ha sottolineato, poi, che le farmacie “rientrano nell’ambito del servizio sanitario nazionale (SSN), di cui fanno parte […], e sono dislocate sul territorio secondo il sistema di pianificazione”, aggiungendo che “È anche in ragione di questa diffusione sull’intero territorio nazionale delle farmacie – frutto dell’applicazione del criterio del contingentamento nella determinazione del numero delle sedi farmaceutiche – che il legislatore delegato, con il decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 […], ha previsto che, in aggiunta all’assistenza farmaceutica, «nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria [siano] erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale»” e precisando che “In tal modo – ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede – «l’attività svolta dalle farmacie non è più ristretta alla distribuzione di farmaci o di prodotti sanitari, ma si estende alla prestazione di servizi» (sentenza n. 66 del 2017)”.

La Consulta, con specifico riferimento alla somministrazione dei tamponi, ha affermato che “La scelta di avvalersi delle farmacie, quali soggetti del SSN, per la erogazione di nuovi servizi sanitari volti a contrastare la circolazione del virus SARS-CoV-2 […] è frutto di una opzione legislativa di sistema che, al di là d’ogni valutazione puntuale, è ribadita e confermata negli interventi normativi successivi, i quali neppure hanno affidato detti servizi anche al diverso settore, eminentemente commerciale, delle parafarmacie” (sono esplicitamente richiamati l’art. 5 del d.l. n. 105 del 2021; l’art. 1, comma 471, della l. n. 178 del 2020; l’art. 2, comma 8-bis, del d.l. n. 24 del 2022).

Conseguentemente, la Corte ha affermato che non vi è alcuna irragionevolezza nella scelta del legislatore, posto che “Coinvolgendo nell’attività in discorso soltanto le farmacie, […] il legislatore si è affidato a soggetti, presenti e ordinatamente dislocati sull’intero territorio nazionale in ragione delle esigenze della popolazione, che già fanno parte del servizio sanitario nazionale e che, in tale veste, sono stati chiamati a erogare servizi a forte valenza socio-sanitaria. Del resto – come riconosce lo stesso TAR rimettente – quelle di cui alle disposizioni censurate sono qualificabili «come vere e proprie prestazioni sanitarie»”.

Passando alla pretesa violazione dell’art. 41 Cost., la Corte ha affermato che “La non irragionevolezza delle norme censurate vale altresì a escludere la violazione dell’art. 41 Cost., prospettata, dallo stesso rimettente, in connessione alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost. Il TAR Marche, infatti, muove dall’assunto che si è in presenza di una irragionevole disparità di trattamento, la quale determina anche, senza un giustificato motivo, una limitazione della libertà di iniziativa economica delle cosiddette parafarmacie: non essendo fondato tuttavia l’assunto, si rileva conseguentemente non fondato anche il correlato dubbio di legittimità costituzionale”.

Infine, la Consulta, a chiusura del suo ragionamento, ha esplicitamente richiamato la giurisprudenza eurounitaria e, in particolare, la sent. CGUE, Sez. IV, 5 dicembre 2013, cause riunite da C-159/12 a C-161/12, Venturini, che aveva ritenuto non in contrasto con il diritto eurounitario la differente disciplina di farmacie e parafarmacie.

 

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