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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Corte di Cassazione, Sentenza n. 3643/2023, Per il conferimento dell’incarico di specialista ambulatoriale dell’A.S.L. non vale il divieto in forza del quale le P.A. non possono attribuire incarichi a soggetti in quiescienza

Per il conferimento dell’incarico di specialista ambulatoriale dell’A.S.L. non vale il divieto in forza del quale le P.A. non possono attribuire incarichi di studio e consulenza o dirigenziali a soggetti, già lavoratori pubblici o privati, collocati in quiescenza.

 

Corte Cass., Sez Lavoro, 7 febbraio 2023, n. 3643

Pres. Manna, Cons. Rel. Fedele – Azienda Unità Sanitaria Locale “Omissis” (Avv. Mario Spotorno) c. L.V. (Avv. Raffaella Rubino, Avv. Dino Dei Rossi)

 

Dirigenza e professioni sanitarie – Incarico di specialista ambulatoriale – Medico in quiescenza – Divieto di conferimento incarichi ex 5, comma 9, D.L. 6 luglio 2012, n. 95 – Non si applica.

Per il conferimento dell’incarico di specialista ambulatoriale dell’azienda sanitaria locale non vale il divieto di cui all’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, in forza del quale le pubbliche amministrazioni non possono attribuire incarichi di studio e consulenza o dirigenziali a soggetti, già lavoratori pubblici o privati, collocati in quiescenza.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Azienda Sanitaria, confermando le sentenze di primo e secondo grado, che, affermata la giurisdizione dell’A.G.O., aveva dichiarato il diritto del medico all’attribuzione dell’incarico di specialista ambulatoriale, condannando l’amministrazione a risarcire il danno rappresentato dalla mancata retribuzione per il periodo contestato.

L’impugnazione verteva sul preteso divieto di attribuzione di tale incarico a soggetti collocati in quiescenza, in virtù del art. 5, comma 9, D.L. 6 luglio 2012, n. 95.

Tale norma, nella versione applicabile ratione temporis (anteriore alle modifiche apportate dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, comunque non significative per il caso di specie), recitava “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui del D. Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 2, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, art. 2, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125. Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell’ambito della propria autonomia”.

Secondo la Suprema Corte, già in base al primo canone ermeneutico, rappresentato dall’interpretazione letterale della norma, l’incarico in questione, di specialista ambulatoriale, non rientra fra quelli vietati - i.e. incarichi di studio e di consulenza ovvero dirigenziali - trattandosi invero di una prestazione professionale in ambito sanitario che non riveste le caratteristiche cui il divieto risulta indirizzato, non potendosi ricondurre l’attività dello specialista ambulatoriale al concetto di “consulenza”, che implica essenzialmente un supporto professionale svolto a favore di altro soggetto, che necessita di competenza qualificata per essere adiuvato o “formato” in determinate materie specialistiche.

Inoltre, la Corte rileva che, a fronte del chiaro tenore letterale della norma, non risulta percorribile neppure una interpretazione estensiva (né, tanto meno, analogica), trattandosi di una disposizione limitativa di una libertà e dovendosi piuttosto adottare un’interpretazione restrittiva.

Infine, osserva che l’interpretazione adottata non si pone nella specie in contrasto con la ratio della disposizione, rappresentata dall’esigenza di prevenire, anche con finalità anticorruttiva in senso lato oltre che di contenimento della spesa pubblica, che il dipendente collocato in quiescenza continui sostanzialmente a svolgere le attività corrispondenti a quelle già esercitate in precedenza semplicemente in base ad un diverso titolo - in tal modo aggirando di fatto lo stesso istituto del collocamento in quiescenza - atteso che, nel caso di specie, le funzioni già attribuite al controricorrente, dirigente medico della Polizia di Stato, non sono sovrapponibili, già solo per il diverso contesto, - secondo il criterio ermeneutico restrittivo - a quelle di specialista ambulatoriale ASL, secondo quanto delineato dall’A.C.N. del 27 luglio 2009, applicabile ratione temporis.

In premessa, peraltro, la Corte ha colto l’occasione per confermare la giurisdizione ordinaria richiamando l’orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 20/04/2021, n. 10360) secondo cui “La procedura per il conferimento degli incarichi di specialista ambulatoriale interno in convenzione con le aziende del servizio sanitario nazionale non ha natura concorsuale, ma costituisce espressione del potere negoziale della P.A. in veste di datore di lavoro, atteso che l’art. 21 dell’Accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con gli specialisti ambulatoriali, veterinari ed altre professionalità sanitarie prevede che la selezione dei candidati avvenga sulla base di parametri specifici e vincolanti, stabiliti dalla contrattazione collettiva, senza alcun bando e valutazione discrezionale dei titoli o atto di approvazione finale, anche con riguardo alla previsione dell’art. 18, comma 5, del citato Accordo, la quale introduce un segmento valutativo tecnico sul possesso di particolari capacità professionali da parte di coloro che sono già iscritti nelle graduatorie. Ne consegue che le controversie relative a tale procedura appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario”.

F.L.



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