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Corte cost., sent. 22 luglio 2024, n. 139
Pres. A.A. Barbera, Red. G. Pitruzzella
Corte cost., sent. 22 luglio 2024, n. 140
Pres. A.A. Barbera, Red. M. R. San Giorgio e M. D’Alberti
Ripiano della spesa sanitaria per i dispositivi medici – Meccanismo del c.d. “pay back” – Imposizione di un contributo a carico delle imprese farmaceutiche – Illegittimità costituzionale – Infondatezza.
Con le due pronunce qui commentate riguardanti i dispositivi medici (sentt. n. 139 e n. 140) la Corte costituzionale torna sul tema della legittimità costituzionale del meccanismo del c.d. pay back, già affrontato con riferimento ai farmaci innovativi (Corte cost., sent. n. 70 del 2017).
Oggetto del sindacato di costituzionalità della prima pronuncia (sent. n. 139), per asserito contrasto con gli artt. 3, 5, 32, 77, 97, 117 Cost., è la disposizione normativa che prevede un contributo statale per il ripiano del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici (art. 8, commi 1, 2, 3 e 6 del d. l. 30 marzo 2023, n. 34, conv. con mod. nella legge 26 maggio 2023, n. 56).
Trattasi della previsione che ha istituito un fondo per il ripiano del superamento del tetto di spesa sanitaria al quale le imprese fornitrici di dispositivi medici debbono contribuire versando la quota restante rispetto a quanto stanziato dallo Stato, conformemente alla disciplina principale del pay back contenuta nelle norme sulla razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci (art. 9 ter del d. l. 19 giugno 2015, n. 78., conv. con mod., nella legge 6 agosto 2015, n. 125), oggetto di un successivo scrutinio della Corte (sent. n. 140).
Il meccanismo generale del pay back prevede che l’eventuale superamento del tetto di spesa regionale sia posto a carico delle imprese fornitrici di dispositivi medici con diverse quote di ripiano per ogni annualità nel periodo tra il 2015 e il 2018: “ciascuna azienda fornitrice concorre alle quote di in misura pari all’incidenza del fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario nazionale” (art. 9 ter, c. 9). Inoltre, con riferimento all’arco temporale sopra richiamato il legislatore ha stabilito che per l’eventuale superamento del tetto di spesa “le regioni e le province autonome definiscono con proprio provvedimento […] l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno” (art. 9 ter, c. 9 bis).
Alla luce del suddetto quadro normativo la Corte evidenzia che il fondo istituito dall’art. 8, d. l. n. 34 del 2023 avrebbe la finalità (riconosciuta già dalla Corte conti nel suo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica per l’anno 2023) di introdurre “una misura a carattere emergenziale” in un quadro di crescente spesa pubblica dei dispositivi medici.
Ad avviso della Corte tale previsione non contrasta con gli artt. 3, 5, 77, 97 e 117 Cost. in quanto “l’istituzione del fondo non pregiudica le prerogative regionali nell’ambito della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica, e neppure determina, di riflesso, quella compressione del diritto inviolabile della salute o al buon andamento dell’amministrazione che la ricorrente [Regione Campania] paventa”.
Ritiene invece fondata la questione di legittimità costituzionale della “concreta modulazione del fondo” (prevista al comma 3 dell’art. 8 del d. l. n. 34 del 2023), con riferimento agli articoli 119 e 3 Cost., in quanto il legislatore ha subordinato il versamento della quota, nella misura limitata al 48 % dell’importo indicato nei provvedimenti regionali e provinciali, alle sole imprese che non hanno attivato o che hanno rinunciato al contenzioso eventualmente attivato.
Il legislatore statale avrebbe così scelto di alleviare gli oneri solo delle “imprese che imboccano la strada delle definizione bonaria” facendosi carico tramite una “disciplina di agevolazione” della quota che i fornitori di dispositivi medici non avrebbero più dovuto versare.
Nel ritenere necessario riconoscere a tutte le imprese la riduzione dell’importo dovuto, a prescindere dalla scelta di abbandonare il contenzioso, la Corte dichiara fondata la questione di legittimità dell’art. 8, c. 3, d. l. 30 marzo 2023, n. 34, “nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione del 48% della quota determinata dai provvedimenti regionali e provinciali di cui all’articolo 9 ter, comma 9 bis del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 ”.
Quanto affermato nella suddetta pronuncia (sent. n. 139) viene richiamato dalla Corte per argomentare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa del payback per i dispositivi medici di cui all’articolo 9 ter del d. l. 19 giugno 2015, n. 78, conv. con mod. dalla legge 6 agosto 2015 n. 125 (sent. n. 140).
La questione veniva sollevata – per asserito contrasto con gli artt. 3, 23, 41 e 117 comma 1, Cost. – dal TAR Lazio nell’ambito di alcuni giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione, da parte di imprese fornitrici di dispositivi medici per il Servizio sanitario nazionale, dei provvedimenti che stabilivano a livello nazionale e regionale (per il periodo compreso tra il 2015 e il 2018) i tetti di spesa per l’acquisto di dispositivi medici, prevedendo altresì che l’eventuale superamento del tetto di spesa regionale fosse a parziale carico delle imprese stesse. Ad avviso delle imprese ricorrenti nei giudizi a quibus, costituitesi in quello di legittimità costituzionale, il sistema delineato dal legislatore con la disciplina censurata sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto opererebbe il “modo aleatorio”, incidendo “in maniera imprevedibile sui prezzi stabiliti all’esito delle procedure di gara rendendo impossibile per le aziende fornitrici la programmazione della propria attività economica”; inoltre il meccanismo del play back condurrebbe a “una deresponsabilizzazione del soggetto pubblico, libero di superare i tetti beneficiando del ripiano postumo a carico dell’aziende del settore”.
La Corte evidenzia come il sistema del pay back sia rimasto a lungo inattuato, infatti, solo nel 2022 è stato effettivamente certificato un superamento del tetto di spesa e conseguentemente quantificato regione per regione l’ammontare dello scostamento. Il legislatore (in seguito intervenuto con l’art. 18 c. 1 del d. l. n. 115 del 2022) ha modificato il comma 9 bis dell’articolo 9 oggetto dello scrutinio di legittimità costituzionale, incaricando regioni e province autonome di definire con proprio provvedimento “l’elenco delle aziende fornitrici soggette a ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale”. E successivamente l’art. 8 del d. l. n. 34 del 2023 –come sopra chiarito – è stato dichiarato incostituzionale “nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione al 48 per cento della quota determinata dai provvedimenti regionali e provinciali […]” (sent. n. 139).
Nel dichiarare infondata la questione la Corte sostiene che “l’iniziativa economica privata incontra il limite dell’utilità sociale, il che la rende compatibile con la possibile previsione legale di un contributo di solidarietà nei limiti” già in passato definiti dalla stessa giurisprudenza costituzionale. La Corte ritiene piuttosto di dover vagliare se il meccanismo del pay back sui dispositivi medici, con applicazione tra il 2015 e 2018, costituisca “una misura ragionevole e proporzionata” considerando altresì che la “finalità della disciplina censura è quella di garantire la razionalizzazione della spesa sanitaria”. Lo stesso titolo della rubrica della disposizione censurata (art. 9 ter) in effetti suggerirebbe che la finalità del pay back sia strettamente funzionale alla tutela della salute e raggiungibile tramite la fissazione di un tetto di spesa per l’acquisto di dispositivi medici. Sicché la Corte non ritiene irragionevole il meccanismo del pay back poiché questo, a suo avviso, porrebbe a carico dell’impresa un contributo solidaristico giustificato dall’ “esigenza di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute, soprattutto in una generale situazione economica finanziaria altamente critica, che non consente ai bilanci dello Stato e delle regioni, finanziate con risorse della collettività, di far fronte in modo esaustivo alle spese richieste”. La Corte evidenzia altresì che a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 c. 3 la conseguente riduzione generalizzata della quota al 48% per tutte le imprese renderebbe ormai “l’onere a carico delle imprese non sproporzionato”. La Corte conclude ritenendo altresì che il contributo di solidarietà cui le imprese sarebbero tenute è riconducibile “all’ambito oggettivo dell’articolo articolo 23 Cost.” e la disciplina censurata, con riferimento a periodo considerato tra 2015 2018, rispetta la riserva di legge in quanto individua esplicitamente sia i soggetti su cui grava l’obbligo sia l’oggetto della prestazione imposta.